Ulisse e Calipso di Martina Costa
di Martina Costa
Ulisse e Calipso
Chiudo il libro. Ultima riga. Fisso il punto.
Quando si chiude un libro, inevitabilmente, termina anche una storia. È finita. E ogni cosa che finisce, porta con sé la nostalgia della precarietà. Precario, su un filo tra la realtà e ciò che hai letto. Quindi, instabile, come se una parte di te fosse in un'altra direzione.
Chi ha l'anima intessuta di storie, riconosce l'esatto sapore di questo struggimento... sa quello che si prova. E la vertigine segreta che ogni vero lettore, nel chiudere l'ultima pagina, porta con sé.
Da lettrice, non ho mai creduto nelle "stagioni della lettura" obbligate. Un buon libro chiede, e tiene, compagnia in ogni mese dell'anno. Eppure, l'autunno... penso che l'autunno abbia un'altra musica. Non è un periodo per letture leggere; è il tempo in cui la luce si fa più scura, e l'anima chiede storie più complesse, più sentite, quasi "studiate". Storie che hanno il peso della storia stessa. Allora ho deciso di iniziare una nuova lettura che ha come tema i viaggi di Ulisse.
Leggo l'epopea omerica fin da quando ero una bambina. Ricordo che sfogliando le pagine illustrate, nell'edizione per bambini, ricercavo quell'uomo con la barba lunga e i vestiti da mendicante.
Certo, è un'immagine anticonvenzionale. Ulisse è l'Eroe, il figlio di Laerte, il re di Itaca! Ma la nostra mente è un archivio di proiezioni, e quella del mendicante è l'ombra che è rimasta più vivida. Non c'è da stupirsi: da piccoli, le storie dei re che diventano poveri, che devono nascondere la loro gloria sotto stracci e polvere, sono quelle che ci insegnano il vero valore delle cose. Ti mostrano l'essenziale. Il ritorno all'Eden. Il ritorno allo st(r)ato più umano possibile.
Così, io, Ulisse, me lo sono sempre "portato dietro" in quei panni.
Di Ulisse mi è capitato di scrivere, ho tanto parlato, e ho vissuto con gli insegnamenti morali che l'Odissea regala a quanti la conoscono e apprezzano. E nonostante questo, il mendicante Ulisse è rimasto sempre fisso nella mia mente. Oggi ringrazio che questa immagine non sia andata via da me. Ringrazio che, ancora oggi, nonostante abbia fatto uno studio accurato di tutti i libri che compongono il poema, al re di Itaca, lo ricordo ancora così.
Il mendicante non è la fine del suo viaggio, ma l'inizio del suo Ritorno. È l'istante in cui, dopo vent'anni, tra guerra e naufragi, Ulisse mette piede sulla sua Itaca. L'eroe si annulla per rinascere. Non deve farsi riconoscere. E ritorna. È il momento in cui deve attendere, osservare e riconquistare ogni cosa, una fedeltà dopo l'altra. E ritornare. La saggezza nascosta sotto gli stracci, l'essere Ulisse sotto mentite spoglie. Il valore che, invece, non può andare via. Ma oggi non voglio parlarvi di questo.
Per il Ritorno di Ulisse bisognerebbe scrivere pagine e pagine. Voglio, invece, riflettere su una figura importante di tutta l'epopea omerica. Sto parlando della ninfa Calipso. Andiamo alle parole, come piace fare a me. Il suo nome deriva dal greco 'nascondere. Una donna che accoglie Ulisse nel momento in cui Ulisse è naufragato. Nel vero senso dell'etimologia latina: navis-frangere. La nave si rompe. Si è rotta la nave di Odisseo. La sua imbarcazione. E non sto parlando soltanto di remi, barche e legno. Ulisse è la sua barca. E Itaca è l'imbarcazione. I due si completano a vicenda. La barca si rompe, e Itaca si fa lontana.
Ulisse, quindi, si è perso. È perso: è senza imbarcazione. Non vede all'orizzonte Itaca. E in questo momento che sulla scena arriva Calipso. Calipso che lo accoglie, Calipso che è presenza. Calipso che è attesa.
La ninfa Calipso è descritta come una creatura bellissima. L'immortale, Calipso. Sull'isola della dea immortale, Ogigia, Ulisse ci resta sette anni. Sette anni che condivide con Calipso un sentimento, ma che passa anche sulla riva del mare, disteso sui ciottoli a guardare l'orizzonte. A sperare che Penelope lo stia ancora aspettando. A sperare di riabbracciare suo figlio Telemaco. Ulisse non lo sa, ma in quell'orizzonte, non troppo lontano da lui, si scorge un' isola. La sua isola. Itaca. Ulisse è vicino.
Grandioso Omero. Incantevole la bellezza dell'Odissea! Ulisse pur non sapendolo, pur condividendo un sentimento con la dea luminosa, è vicino a casa.
E la prova del nove dell'amore per Itaca (quindi, l'amore per ciò che è rimasto a Itaca) sta proprio nella figura di Calipso: Ulisse non accetta di abitare la casa di Calipso, nonostante lei glielo propone, e non vuole nemmeno diventare immortale.
Comunque, Calipso lo avverte, gli dice che ad attenderlo saranno tantissime pene, soprattutto per mare. Non lo sconsiglia di intraprendere il viaggio verso Itaca, gli mostra, invece, una via di salvezza. L'alternativa comoda e sicura, quella conveniente: restare sull'isola di Ogigia, vivere con lei e diventare immortale. La risposta che darà Ulisse resta per me una delle più belle del V libro dell'Odissea. Dice Ulisse che lui, in petto, ha un cuore avvezzo alle pene. L'eroe, Ulisse.
Non vittima, né carnefice.
Ma eroe.
Calipso lo lascia andare. Non sarà un ritorno facile. Ma sarà un ritorno. Il Ritorno.
E oggi?
Oggi, Calipso, sono tutte quelle persone che costruiscono insieme a te la zattera della tua salvezza. Calipso è chi ti accoglie, ti trattiene, ti cura... ma poi ti lascia andare, giurando solennemente che ti aiuterà, se ce ne sarà bisogno, ma resterà sempre un passo indietro.
Lì per te, ma non con te.
Che non è una cosa brutta da dire. A volte abbiamo la necessità di restare soli per tornare a Itaca. Chiediamo aiuto, ma poi il viaggio di ritorno è un viaggio che dobbiamo fare da soli. Noi con il nostro bagaglio, che, certo, quello materiale, sarà decisamente dimezzato rispetto a quello della partenza. Sarà logoro e povero.
Ma noi?
Quale sarà il nostro bagaglio "di ritorno"? Sicuramente non saremo le stesse persone che siamo partite... approderemo a Itaca trasformati. Evoluti. Quindi, grandi. Siamo cresciuti. Quindi, oggi, ringraziamo tutti i nostri Calipso: in casa, tra gli amici, nella società, nel mondo... Diciamo grazie a chi c'è stato per noi, chi ci ha trattenuti nei "nostri luoghi" per sette anni, curando le nostre debolezze e le nostre fragilità... chi ci ha amati, ma chi poi ci ha anche condotti verso il Ritorno... verso il Ritorno a noi stessi...
L'Odissea... beh, l'Odissea... uno strumento importantissimo per la nostra crescita formativa e umana!