Da Ravenna in linea Massimo Restuccia. I ricordi del passato. Le poesie di Curzio Malaparte
di Massimo Ristuccia
POESIE DI CURZIO MALAPARTE
Il cane, la donna, con il paese toscano, sono i temi affettivi più intensi della poesia malapartiana.
tratte da Quadrivio del 5 agosto 1934, direttore Telesio Interlandi:
Donna sul prato
Il cielo azzurro si posa sulla tua spalla nuda,
con la guancia di rosa
accarezzi le nuvole bianche.
S'incurva all'orizzonte
come una pallida luna
l'arco della tua fronte.
Sotto l'olivo d'argento
guardi le nuvole sfiorire
candide rose sul monte.
L'erba scorre nel vento
con remoto sussurro.
Sulla tua spalla si posa
un'ala di cielo azzurro.
Mattino a Marina Corta
Seduti lungo il muro bianco
sul trapezio d'ombra che oscilla
nel candido fuoco mattutino,
intorno alle ceste lucenti
di scaglie rosse verdi gialle,
i pescatori masticano amari
grumi di sonno turchino.
L'isola dorme alla deriva
sotto un cielo di vetro rosa
dove si specchia fuggitiva
un'azzurra ombra amorosa.
Guardano attonite il mare
le capre dagli occhi morti
inginocchiate sulla riva..
Alba marina
E sempre a questa solitaria riva
io vengo, alba marina, ad incontrarti,
e il ciel s'imbianca e freme oscuro il mare.
Tinge i lontani monti un verde lume,
il vento odora d'erba come un fiume.
Svela un lieve chiarore a poco a poco, sparsi sull'arenoso
lido, gli ossi di seppia e i pesci morti dai dolci occhi innocenti,
e le conchiglie dalle rosee labbra.
Già trema nei velati occhi amorosi l'azzurra alba lontana.
Il mar nelle conchiglie ha voce umana.
CURZIO MALAPARTE
Tratte da Edda Ronchi Suckert volume III 1932 -1936:
CHE VALE TANTO CIELO?
Venite all'ombra degli antichi olivi,
Ionie Muse, e qui con me sedete,
in quest'isola errante
dove sola compagna al prigioniero
è la noia infinita, azzurra, eguale.
LE CONCHIGLIE
Le conchiglie marine dalle tumide labbra
affiorano dalla sabbia
guardano la luna nuova sul ciglio d'Aspromonte.
Il mare freme sotto il vento greco
le onde spingono a riva
foglie del Citerone, fuscelli, fili d'erba
delle Cicladi. Rosso
il cielo al tramonto si spegne dolcemente.
Le conchiglie parlano a voce bassa Vulcano
stasera dorme, e intorno freme il mare,
il negro mare freme intorno al fuoco
sepolto nella dura spoglia di terra nera e gialla. Eh, quello è Valastro
che rammenda le reti, e quelli
sono i prigionieri, miserabile gente.
«Gente infelice, dice
la conchiglia dalle labbra vermiglie.
Non hanno pietà neppure di se stessi.
Poi tacciono a poco a poco, un lungo
mormorio corre lungo il mare fremente,
parole segrete corrono di riva in riva,
le chiglie delle barche suonano come percosse
da lievi mani. Un mormorio che dura
tutta la notte, finché l'alba spunta
dai monti greci e rompe il mare.
Io quelle voci udendo esco sull'alto
tetto della mia casa, e ascolto il dolce
parlottare sommesso, di quelle bocche.
D'alte parole son fatti i miei silenzi,
le mie notti insonni, i miei giorni deserti.
Di musiche marine, che le labbra
tumide delle conchiglie
si ripeton lungh'esso il nero mare,
e le ascoltan sereni i pescatori
curvi sull'onda, ad occhi chiusi, e un pianto
nasce sul mare che si porta il vento.
CARO ESILIO
Come azzurri stasera
i monti di Sicilia
sorgon dal mare in fondo all’orizzonte.
Disteso sulla nera
tiepida sabbia ascolto i pastori
parlar sommessi della nuova luna
di primavera, e lieti
auspici trarre dal color dell’aria.
La verde alba lunare
m’invade, e in cuor m’annega ogni rimpianto.
Verranno anche per me su questa riva
le chiare notti ed i giorni sereni,
verranno forse. Ed or dalla ventosa
soglia della mia casa
guardo il mare deserto e l'orizzonte
che intorno chiude come un alto muro questa mia poca terra […]
E se talvolta
mi vince l'umiliata
tristezza dell'esilio, in queste rive
sacre al vento e al fuoco
si riposa il mio sguardo, e una serena
speranza il cuor m'invade.
L’OTRE DI ULISSE EPISTOLA A VINCENZO CARDARELLI
Ed or son qui nell’isola ventosa
cara al figlio d’Ippote, Eolo inquieto,
dove placo gli Dei con bianchi agnelli.
Uomo saggio non fui, certo, ma stolto
chi mai dirmi potrebbe e la mia sorte
rimproverarmi? E non pensar che invidia
o compianto io mi aspetti
Vincenzo mio, da questo ingrato esilio.
Non è degno di storia il mio destino,
degno non è che di pietosi affetti;
avvilita e onorata
sia la felice sorte a cui m'inchino.
Tu certo non m'udrai
levar come Promèteo al ciel la voce
intonando nel fiero eschileo metro
orgoglioso lamento.
Né finger mi vedrai d'Ulisse i modi,
che a questa eolia riva
spinto dall'ira di Nettuno, il figlio
d'Ippote impietosì con le sue greche
favole, e il miel dei suoi bugiardi accenti:
e n'ebbe in dono un otre
gonfio di venti. Io non dirò, Vincenzo,
quel che gli avvenne poi, quando, lasciata
Lipari, in vista già della petrosa
Itaca, un sonno lo ghermi profondo:
da funesto consiglio indotti, i lacci
sciolsero dal fatal sacco bovino
i compagni d'Ulisse, e l'infelice
dagli sfrenati vènti risospinto
fece a questa ritorno isola errante.
Eolo sdegnato lo cacciò: piangendo
sul mare avverso risalì l'eroe,
l'otre, dono divino, abbandonando
sulla spiaggia di Lipari. Sventrato
sacco di pelle verminosa, ai piedi
dell'alta reggia eolia
giace or qui tra i rifiuti in riva al mare,
di cani ormai trastullo e di ragazzi.
E talvolta se all'uscio, verso sera,
la dolce brezza a respirar m'affaccio,
udendo risonar l'otre d'Ulisse
anch'io m'imbranco nello stuol cencioso
dei giocatori, e d'Eolo il miserando
dono fatal percoto a gara e inseguo
lungo la riva di Marina Corta:
mentre s'oscura il cielo
sui monti di Sicilia e muore il giorno.
dedicata a Virginia Bourbon del Monte Agnelli.
Solo per te, Virginia, solo per te
aprirò il cielo notturno alla mia fronte,
il sapore del mio sangue solo per te,
Virginia, brucerà la bianca notte d’estate.