gaetano sardella

Rubrica Religiosa a cura di Don Gaetano Sardella

di Gaetano Sardella

Perdonare l’altro, perché perdonati dal Padre

XXIV Domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo, Pietro si avvicinò̀ a Gesù̀ e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò̀ perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù̀ gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». (...) «Così anche il Padre mio celeste farà̀ con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». Bellissimo questo stupore per l’illogico perdono: fino a settanta volte sette. Dio che rompe i nostri bilancini, che rimette i debiti sempre, che libera non come uno smemorato che dimentica il male, ma con la casta follia della croce che si prende gioco della logica e degli equilibri umani e anche delle mie morti quotidiane. 

Lui è l’Innamorato che vede primavere dentro i miei inverni. Il servo, appena uscito, appena visto quanto sia grande un cuore di re, appena liberato, preso il suo compagno per il collo lo strangolava: ridammi i miei centesimi! Lui, perdonato di milioni. Quel servo non è ingiusto, è senza cuore. Tecnicamente non è disonesto, è crudele. Davvero è possibile essere onesti e spietati. Non dovevi anche tu aver pietà? Non dovevi anche tu agire come agisco io? Tu come me, io come Dio, la creatura come il creatore... Chiave di volta di tutta la morale biblica. Perché avere pietà? Semplice: per un battito all’unisono con il battito di Dio. Nella Bibbia ogni indicativo divino (ogni azione riferita a Dio) diventa un imperativo umano, per la pienezza e lo sconfinamento in alto. 

Un istinto in noi ci fa credere che il male si possa “riparare” mediante un altro male, ferendo chi ci ha ferito. Occhio per occhio. Non più una, ma due ferite che sanguinano. Il perdono invece, che forse non guarirà la ferita, ci aiuta a sentire che non tutto il mondo impugna un’arma. Che ci sono anche mani che accarezzano oltre a quelle che mi hanno schiaffeggiato. Ci libera dallo sguardo torvo che vede nemici dovunque: lo sconosciuto in fila con te o un barcone di migranti. Il perdono è de-creazione del male, lo blocca, gli impedisce di proliferare; ci concede il lusso di non trascinarci dietro all’infinito i nostri errori e i nostri dolori, come patiboli interiori su cui inchiodiamo noi stessi e gli altri. “Il perdono ci strappa dai circoli viziosi, spezza le coazioni a ripetere su altri il male subìto, rompe la catena della colpa e della vendetta, spezza le simmetrie dell’odio” (Hanna Arendt). 

Il tempo del perdono è il coraggio dell’anticipo, senza aspettare che tutto sia a posto; il coraggio degli inizi e delle ripartenze; non un colpo di spugna sulla vita, ma un colpo d’ali che non libera il passato, libera il futuro; un colpo di vento sulla mia barca: Io la vela. Dio il vento. Dio perdona per un atto di fede nell’uomo, perché vede noi oltre noi, vede la luce prima dell’ombra, il santo prima del peccatore, le spighe di buon grano prima della zizzania. Vede che ogni vita è grembo pronto a un di più. E il perdonante ha gli stessi occhi di Dio. Scandalo per la giustizia, follia per l’intelligenza, ma consolazione per noi debitori. (Letture: Siracide 27,33 – 28,9 (NV), Salmo 102, Romani 14,7-9; Matteo 18,21-35) © riproduzione riservata

NOTIZIARIOISOLEOLIE.IT

Perdonare l’altro, perché perdonati dal Padre
Bellissimo questo stupore per l’illogico perdono: fino a settanta volte sette. Dio che rompe i nostri bilancini, che rimette i debiti sempre, che libera non come uno smemorato che dimentica il male, ma con la casta follia della croce che si prende gioco della logica e degli equilibri umani e anche delle mie morti quotidiane.

Lui è l’Innamorato che vede primavere dentro i miei inverni. Il servo, appena uscito, appena visto quanto sia grande un cuore di re, appena liberato, preso il suo compagno per il collo lo strangolava: ridammi i miei centesimi! Lui, perdonato di milioni.

Quel servo non è ingiusto, è senza cuore. Tecnicamente non è disonesto, è crudele. Davvero è possibile essere onesti e spietati. Non dovevi anche tu aver pietà? Non dovevi anche tu agire come agisco io? Tu come me, io come Dio, la creatura come il creatore… Chiave di volta di tutta la morale biblica.

Perché avere pietà? Semplice: per un battito all’unisono con il battito di Dio. Nella Bibbia ogni indicativo divino (ogni azione riferita a Dio) diventa un imperativo umano, per la pienezza e lo sconfinamento in alto. Un istinto in noi ci fa credere che il male si possa “riparare” mediante un altro male, ferendo chi ci ha ferito. Occhio per occhio. Non più una, ma due ferite che sanguinano.

Il cuore largo del re
p. Ermes Ronchi - Commento al Vangelo di domenica 17 Settembre 2023
Quando decido di non perdonare, non faccio che alzare il livello di dolore. Anziché annullare il mio debito, stringo un nuovo laccio, aggiungo una sbarra alla prigione.

C’è un modo regale di stare nel mondo, un modo divino che risiede saldo nella larghezza di cuore: sa perdonare chi è più grande, e quindi più forte.

Gesù lo spiega con la parabola dei due debitori. Il primo doveva una cifra iperbolica al suo re, qualcosa come un debito ingrassato a dismisura dagli usurai, che il povero servo non sarebbe mai riuscito a pagare. Allora, gettatosi a terra, egli lo supplicava. E il re provò compassione.

Il grande re sente su di sè tutta l’angoscia del servo, sente che questa conta più dei suoi diritti di creditore, la sente allargargli il suo cuore di re.

In opposizione a questo cuore regale ecco il cuore servile: appena uscito, il servo trovò un suo pari. Perchè “appena uscito”, e non un’ora, non un giorno o una settimana dopo; ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato il respiro e restituito al futuro e alla famiglia, fatta l’esperienza di un cuore regale, preso il suo compagno per il collo lo strangolava, gridando: ridammi i miei cento euro! Lui, perdonato di miliardi.
Così anche noi: bravissimi a calare sul piatto tutti i nostri diritti, abilissimi prestigiatori nell’azzerare i nostri doveri. Passando nelle strade del mondo come predatori, anziché servitori della vita.

Il servo perdonato non agisce contro il diritto o la giustizia. È giusto, ma spietato. È onesto, e al tempo stesso crudele. Giustizia e diritto non bastano da soli a fare nuovo il mondo. Anzi, l’estrema giustizia, ridammi i miei cento euro, può contenere la massima offesa all’uomo: presolo per il collo lo strangolava.

Giustizia umana è dare a ciascuno il suo. Ma ecco che sulla linea dell’equivalenza del dare e dell’avere, Gesù propone quella dell’eccedenza: perdonare settanta volte sette, amare i nemici, porgere l’altra guancia, dare senza misura, profumo di nardo per trecento denari. Follia? Forse. Ma quando decido di non perdonare, quando di fronte a un’offesa riscuoto il mio debito con una contro offesa, non faccio che alzare il livello di dolore e di violenza. Anziché annullare il mio debito, stringo un nuovo laccio, aggiungo una sbarra alla prigione.

Occorre il perdono del cuore. Ed è difficilissimo. Comporta un atto di fede, non d’intelligenza. Nell’uomo. Un atto di speranza, non di spontaneità. Nell’uomo.

I popoli in guerra usciranno dall’equilibrio di paura e di morte solo con il coraggio di un atto di fede reciproca. Fede è dare fiducia guardando non al passato, ma al futuro. Vivere il vangelo di Gesù non è spostare un po’ in avanti i paletti della morale, del bene e del male, ma è la lieta notizia che l’amore di Dio non ha misura, che la misura del perdono non è mai colma. Il perdonante ha gli occhi di Dio, che ad occhi chiusi perdona e ti lancia in avanti, come colui che anche nel buio vede solo primavere.

NOTIZIARIARIOISOLEOLIE.IT

Davvero Gesù è “pretenzioso”.
Come si può dire:” Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”.
Lo ripeto e ripeterò sempre che il vangelo va sempre letto e ascoltato con attenzione e, soprattutto, studiato.
L’espressione che usa Gesù ha un significato molto profondo.
Gesù ci invita a capire e a riscoprire quanto Lui veramente ci ama e ci offre di più.
Ermes Ronchi riportava questo paragone spiegando questa pagina del vangelo: “E’ come rompere una conchiglia per arrivare a trovare la perla che è dentro”.

Quando il Signore ci chiede di amarlo, non significa che non dobbiamo amare gli altri, ma scoprire ogni giorno il perché amare gli altri e da dove nasce questa Grazia per amare gli altri.
“Dio, questa giornata è per te, questa giornata ha uno scopo ultimo che sei Tu. Cristo, tu sei lo scopo ultimo della fatica e del gusto che avrà questa giornata”. Luigi Giussani
Penso alla mia vita. Dovrò iniziare un nuovo cammino e, precisamente, rivivere con me stesso la continua evoluzione alla chiamata sacerdotale.
Se fossi legato alle cose di questo mondo, che sia la comodità della parrocchia o altro, come potrei amare il Signore nella pienezza e libertà a cui Lui mi invita?
“Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Non è un “avere “ materiale a cui dobbiamo rinunciare, ma a un ricapitolarsi nella vita per riscoprire in quel momento, in quell’istante che il tutto è appartenenza a Cristo.
“Purtroppo, troppe persone oggi si allontanano dalla luce, in un mondo di illusioni, in un mondo di ombre fugaci e promesse non mantenute. Se guarderete a Gesù, se vivrete la Verità che è Gesù, avrete dentro di voi la luce che rivela le verità e i valori sui quali edificare la vostra felicità, costruendo al contempo un mondo di giustizia, di pace e di solidarietà”. (Papa San Giovanni Paolo II)
Come dico spesso ai genitori al battesimo: ”I figli sono e non sono vostri”.

Cosa veramente il Signore desidera da lui? E a cosa tu sei chiamato a vivere con il dono del figlio.
Pensiamo a domani che si celebra la festa della natività di Maria.
La Madonna, il suo Sì incondizionato a Dio.
Essere discepoli di Cristo significa lasciarsi amare da Lui.
Come insegnava Papa Francesco: “L’atteggiamento di Maria di Nazareth ci mostra che l’essere viene prima del fare e che occorre lasciar fare a Dio per essere veramente come Lui ci vuole. E’ Lui che fa in noi tante meraviglie”.
È vero che c’è sempre il timore di ciò che sarà. La fede è affidarsi a Lui e non alle nostre forze.
Essere poveri per diventare veramente ricchi.

NOTIZIARIOISOLEOLIE.IT

SPINGERE LA VITA
Questo è il terzo banchetto di Gesù in casa di farisei, che pur fieri avversari del maestro, ne subivano al tempo stesso il fascino.

Il rabbi amava i banchetti, luogo perfetto dove raccontare parabole che anticipavano il Regno, per i giusti d’Israele e per la gente dei crocicchi, per donne con vasi di profumo e farisei austeri e distaccati.
La tavola di casa è il primo altare, per Gesù. L’unico: ogni casa ha un altare che raccoglie attorno a sé sorrisi, confidenze, lacrime, perdoni e progetti. E sacrifici. Quello della chiesa viene dopo.

Mangiare insieme è il rito che ci fa umani, dove il cibo è sacro e il pane è sacramento, perché custodisce la cosa più sacra che esiste: la vita.

È un dolore vedere troppe eucaristie che, invece di un banchetto di gioia e di condivisione, si trascinano come liturgie stanche che parlano solo di se stesse e a se stesse.
“Diceva loro una parabola, notando come sceglievano i primi posti”.

La gente osserva Gesù, e Gesù osserva gli invitati. Un incrociarsi di sguardi, in quella sala che è la metafora della vita, piena di illusi, convinti che vivere sia prevalere sugli altri.

Quando sei invitato va a metterti all’ultimo posto, non per falsa modestia o un basso concetto di te, ma per un rapporto diverso e creativo, dove non conta il più importante o prestigioso, ma chi spinge avanti la vita. Il nostro compito sulla terra è semplice: portare umilmente avanti la vita. Soprattutto la vita debole e minacciata.

Vai all’ultimo posto: è il posto di Dio, del Dio crocifisso, che spinge il nostro mondo dentro il suo abbraccio.

Poi a colui che l’aveva invitato disse: Quando offri un pranzo non invitare parenti, amici, vicini, tu invita poveri, storpi, ciechi.
Ma non farlo per sentirti buono. Anche la rosa è senza un perché, fiorisce perché fiorisce (A. Silesius), e lo fa anche sulle macerie, dove impavida prodiga il suo profumo. L’usignolo canta anche se nessuno lo ascolta. Il monaco prega anche se nessuno lo sa.

Riempiti la casa di chi nessuno accoglie, e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Non hanno cose da darti, e allora ti daranno se stessi nella loro fragile gioia, perché ogni tenerezza gratuita e immeritata sussurra a chiunque di Dio. Arriva come un angelo e rende più affettuosa la vita, più leggero il lungo dolore.

Solo l’amore che non ha bisogno di passare all’incasso è capace di riempire di speranza i viventi, di vita il grande vuoto della terra, il suo grande buio.

NOTIZIARIOISOLEOLIE.IT

Conversione permanente facendo la propria parte e accettando la correzione

"Attraversare la porta" stretta può essere la sfida della conversione permanente
L'esortazione di Gesù a «sforzarsi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (Lc 13,24) ci rende consapevoli della sfida di mantenerci in un atteggiamento costante di conversione, senza lasciarci spaventare dal timore di essere esclusi dalla salvezza definitiva al termine del nostro pellegrinaggio terreno. Il giudizio finale sulla qualità della nostra vita e sulla sincerità della pratica della nostra fede, speranza e carità dipendono da Dio Padre unito al Figlio nello Spirito Santo. La sua Parola indica chiaramente la volontà divina favorevole alla salvezza di tutti, e di tutti i popoli del mondo: «Conosco le loro opere e i loro pensieri. 

Verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; verranno e vedranno la mia gloria» (Is 66,18). «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio» (Lc 13,29).
Il Salmo 116 ci aiuta a contemplare la volontà divina, che è la salvezza di tutta l'umanità: «Genti tutte, lodate il Signore, popoli tutti, cantate la sua lode. Perché forte è il suo amore per noie la fedeltà del Signore dura per sempre» (Sal 116,1-2). Per questo Gesù morì crocifisso ed e fu risuscitato con la potenza dello Spirito Santo: per giustificare l'umanità riversando nei nostri cuori la gratuità dell'amore divino (cfr Rm 5,5). 

Gesù è venuto a rivelare l'infinita misericordia di Dio Padre e la sua fedeltà nel desiderare la salvezza di tutti. La parola di Dio, attraverso l'apostolo Paolo, ci invita a riconoscere questo dono gratuito della nostra giustificazione professando la nostra fede in Cristo. È un discorso vano quando un gruppo religioso, nel suo radicalismo, dichiara chi sono gli eletti e i "già salvati" e chi è destinato all''inferno. Questo era un argomento di discussione teologica tra i rabbini del tempo di Gesù. Il nostro Maestro e Signore non volle esprimere la sua opinione, ma indicò l'insegnamento simbolico dell'«entrare per la porta stretta». La conversione concreta e la vigile perseveranza di perseverare in questo stato di cambiamento di vita potrebbero essere considerate due delle più grandi sfide della nostra esistenza cristiana.

Siamo costantemente tentati dai nostri istinti, sentimenti e pensieri egoistici, con i loro demoni di lussuria, avidità, gola e vizi (istinti), con i loro demoni di tristezza, accidia e rabbia (sentimenti), e con i loro demoni di invidia, competitività, orgoglio e arroganza (pensieri egoistici).
Oscilliamo continuamente tra una vita secondo la carne, diventando schiavi del nostro egoismo, e una vita secondo lo Spirito, diventando servitori della giustizia divina, cioè della gratuità dell'amore divino. Questa costante lotta interiore, rinnovando la scelta della via dell'umiltà e il desiderio di essere misericordiosi, puri di cuore e promotori di pace, come proposto dalle Beatitudini, possono essere paragonati allo sforzo di entrare per la porta stretta. Oggi vogliamo invocare lo Spirito Santo affinché possiamo offrire alla Santissima Trinità la nostra gratitudine per essere in un costante atteggiamento di conversione.
Questo può significare: fare la nostra parte sperimentando la correzione nella nostra vita quotidiana.
Fare la nostra parte

Per fare la nostra parte, è essenziale partecipare fedelmente alla celebrazione domenicale del Giorno del Signore nella nostra comunità cristiana. Fare la nostra parte significa scegliere di essere fedeli alla nostra preghiera quotidiana, preferibilmente incentrata sull'incontro con la Parola di Dio attraverso la Liturgia delle Ore, o praticando la meditazione orante di un brano biblico, o avendo la grazia di condividere la propria esperienza di fede in una piccola fraternità, in un centro di ascolto. La devozione mariana, come la recita quotidiana del Rosario, è benefica. L'adorazione eucaristica è molto utile. Altre proposte di preghiera vengono promosse e condivise sui social media: le novene, la "quaresima di San Michele e la devozione delle mille Ave Maria.

Fare la nostra parte significa praticare la meditazione cristiana, la preghiera del cuore, coltivare il silenzio interiore e la libertà del nostro cuore in mezzo alla turbolenza delle nostre preoccupazioni e dei nostri problemi. Fare la nostra parte significa vivere intensamente la nostra partecipazione ai sacramenti, in particolare all'Eucaristia.
Fare la nostra parte significa trasformare tutte queste pratiche di preghiera e spiritualità in un servizio concreto e gratuito nella nostra comunità, vivendo la diaconia come espressione di testimonianza concreta nella celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione cristiana.

Fare la nostra parte significa testimoniare le opere di misericordia corporali e spirituali, senza mai dimenticare di completare la nostra comunione eucaristica con il Corpo e il Sangue di Cristo nella Santa Messa, incontrando Cristo nella vita dei più poveri e sofferenti.
Sperimentare la correzione nella nostra vita quotidiana
Quando non riusciamo a fare la nostra parte, ricadendo nel peccato o riconoscendo lo squilibrio tra un'intensa vita di preghiera e una difficile vita di relazioni rispettose con noi stessi, con gli altri e con la natura, la divina provvidenza viene in nostro aiuto con la correzione del Signore, come esorta la Parola di Dio di questa domenica, attraverso la Lettera agli Ebrei.
In che modo il Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo, si manifesta per educarci e correggerci?

Qualsiasi esperienza di crisi, di perdita, di lutto, di depressione o persino una ricaduta nella dipendenza e nel peccato può diventare un'opportunità per correggere la direzione che stiamo dando alla vita. Dio usa la correzione fraterna, le parole di un amico sincero che ci fanno riflettere, la guida spirituale di qualcuno che scegliamo per aiutarci a discernere la volontà di Dio, la psicoterapia con uno psicologo o uno psichiatra, la testimonianza luminosa di un povero sofferente pieno di fede. Sono tutte opportunità per scuotere la nostra coscienza accomodata e la nostra coscienza morale indifferente di fronte alla gravità della responsabilità dei nostri comportamenti.

Il Sacramento della Riconciliazione completa l'opera della correzione divina, rimettendoci sul cammino penitenziale della conversione con l'aiuto dello Spirito Santo.
Come ci insegna la Parola di Dio: «Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati» (Eb 12,11). Pertanto, questa domenica, invochiamo incessantemente lo Spirito Santo, che dimora in noi, affinché possiamo entrare attraverso la porta stretta della correzione divina, «rinfrancando le nostre mani inerti e le ginocchia fiacche e camminando diritti con i nostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire»

NOTIZIARIOISOLEOLIE.IT

La vita cristiana è una lotta

Perseguitati a causa della giustizia del Regno di Dio
La parola di Dio di questa domenica ci fa riflettere su una verità che riguarda la vita coerente di ogni cristiano, conforme l'insegnamento delle beatitudini secondo la versione di Matteo. Con i sacramenti dell'iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima ed Eucaristia) scegliamo di assumere lo stile di vita dell'umiltà (essere poveri in spirito) e ci prepariamo ad affrontare la vita cristiana come una lotta, perché saremo sempre «perseguitati a causa della giustizia del Regno di Dio» (cfr. Mt 5,10).
La persecuzione a causa della giustizia del Regno di Dio si scatena dentro di noi quando lottiamo per dominare i nostri istinti, sentimenti e pensieri egoistici, che ci inducono a peccare e ci rendono schiavi dei nostri vizi.

Si scatena fuori di noi quando le stesse forze dell'egoismo umano minacciano e ostacolano qualsiasi nostro impegno di promuovere relazioni umane in nome della gratuità dell'amore divino, essendo prevalentemente misericordiosi e accoglienti con tutti, rispettando gli altri con la sincerità e la purezza del nostro cuore, rispettando la biodiversità naturale con un'ecologia integrale, promuovendo la pace con il coraggio di denunciare le ingiustizie e metterci dalla parte dei più poveri e sofferenti.

La nostra lotta interiore per vincere le tentazioni a peccare, in stato permanente di conversione.
► La Parola di Dio, attraverso l'autore della lettera agli Ebrei, ci invita a non perderci d'animo nella dura lotta quotidiana per vincere le tentazioni, superare i nostri vizi e vivere in uno stato permanente di conversione: «Non stancatevi e non pertetevi d'animo» (Eb 12,3b). Ma non è facile: «Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato» (Eb 12,4).
► In questa lotta contro il peccato vigiliamo e assumiamo un atteggiamento costante di conversione quando lasciamo agire in noi la forza essenziale dello Spirito Santo!

Vogliamo avere il coraggio di fermarci per contemplare due testimonianze significative:
quella di Gesù, che ha saputo affrontare la croce e quella della moltitudine di testimoni di fede che ci hanno preceduto o che vivono in mezzo a noi.
- Contemplare l'offerta di Gesù davanti ad un crocifisso o davanti al tabernacolo è un'esperienza di preghiera che riaccende in noi la fiamma della speranza: «Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo» (Eb 12,3).
- Aiuta molto la testimonianaza della moltitudine di santi, testimoni di fede. Sono i nostri antenati, i patriarchi, i personaggi biblici, tra i quali, oggi spicca la testinomianza del profeta Geremia, sono i santi della storia della Chiesa. Sono anche i "santi della porta accanto", soprattutto i poveri e sofferenti che vivono intensamente in Cristo e ci evangelizzano. Lo abbiamo ascoltato e ne facciamo tesoro: «Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,1-2a).

Siamo poveri e inconstanti, ma confidiamo nell'aiuto del Signore. Con la forza del suo Santo Spirito ci sentiamo in uno stato permanente di conversione. Con le parole del salmista diciamo: «Ma io sono povero e bisognoso: di me ha cura il Signore. Tu sei mio aiuto e mio liberatore: mio Dio, non tardare» (Sal 39,18).
La nostra lotta di fronte alle persecuzioni provenienti dal di fuori, a partire dall'ambito familiare
Tutti i cristiani veramente impegnati a vivere coerentemente i sacramenti dell'iniziazione cristiana si ritrovano a "remare controcorrente" nella realtà storica e culturale in cui vivono, e sentono sulla propria pelle la sofferenza di essere perseguitati.

Nella nostra società che esalta l'individualismo e l'illusoria libertà assoluta di ciascuno, si parte dal proprio ambito familiare per constatare conflitti e difficiltà di relazione dovuti alla scelta di essere perseveranti nella preghiera quotidiana di incontro con la Parola di Dio, nell'esserci ogni domenica a celebrare, in assemblea liturgica, il giorno de Signore, nutrendoci alla mensa della liturgia della Parola e dell'Eucaristia. É difficile incontrare famiglie in cui tutti i membri si ritrovano insieme per pregare ogni giorno e per frequentare assiduamente la vita ecclesiale nell'attività liturgica, biblico-catechetica e missionaria-caritativa. La tendenza è che ogni membro della famiglia faccia ciò che vuole e come vuole, anche nell'esprimere la sua esperienza di fede. C'è scarsa condivisione. A volte la mancanza di condivisione della propria esperienza di fede genera conflitti, perché alcuni membri della famiglia criticano coloro che si sforzano di vivere un cristianesimo coerente con il Vangelo.

Cristo risuscitato ci ha avvertiti: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (Lc 12,51-53).
Nella nostra società che esalta il potere del denaro e del sapere tecnico e scientifico, diventa scomodo sentir parlare di ingiustizie sociali, di conversione ecologica, di misericordia con chi ha sbagliato, di accoglienza del diverso, di amore ai nemici, di perdono, di pace. La morte di Gesù fu determinata da interessi politici e religiosi. Gesù fu perseguito dalle autorità religiose del suo tempo, per i suoi gesti in favore dei peccatori, dei poveri, degli ammalati, degli impuri. Il profeta Geremia fu perseguito a causa della sua attività profetica, poiché le sue parole di verità scomodavano le autorità politiche e religiose del suo tempo.
Geremia scampò dalla morte. Gesù fu crocifisso!

La nostra speranza non delude perché tutte le sofferenze sofferte nel nome della Santissima Trinità contribuiscono a redimere quell'umanità ancora perduta nella disperazione delle varie forme di dipendenza e tormentata dalle guerre e dalle ingiustizie che devastano la dignità delle persone, tutte figlie amate di Dio. E questa certezza si basa sulla verità che Gesù affrontò la morte di croce sapendo della «gioia che gli era posta dinanzi». Egli, «disprezzando il disonore» di quel supplizio scandaloso per i giudei e pazzesco per i greci (1Cor 1,23), ora «siede [vittorioso] alla destra del trono di Dio» (Eb 12,2b).
Per questo, anche nella prova di tante persecuzioni sofferte nel nome di Cristo, possiamo dire sempre con certezza: «Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose, dal fango della palude; ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio. Molti vedranno e avranno timore e confideranno nel Signore» (Sal 39,2-4).

E con San Paolo apostolo il nostro canto di lode nella prova sarà questo: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Noi siamo infatti persuasi che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore»

NOTIZIARIOISOLEOLIE.IT

IL PRIVILEGIO
Il vangelo ambienta le tre parabole nella notte, nel buio intaccato solo da una piccola lanterna, che racconta un’atmosfera di fatica, di oscuro, di paure, ma anche di non resa.

Qualsiasi sia la tua paura, della malattia, di crisi geopolitiche, delle chiese svuotate, delle guerre, dei legami che si spezzano, del cambiamento climatico: Non avere paura, piccolo gregge!

Anche alla piccola Maria l’angelo dirà: Non temere questo Signore che si nasconde dietro la carne di un piccolo bambino. Non temere il suo l’amore disarmato e sottovoce.

Essere piccoli è un privilegio, agli occhi di Dio. E proprio a questi Gesù ripete: non temere. Il contrario della paura non è il coraggio ma la fede.

Come Abramo, che per fede è partito. Non era in una situazione precaria. Aveva greggi, armenti, una famiglia e una moglie, faceva parte di clan potente, ma non era soddisfatto. Eppure mancava qualcosa.
Inizia così la chiamata. Il termine ebraico è lech lechà, vattene dalla tua terra. Ma anche: vai verso te stesso, torna da te, vivi secondo i tuoi sogni, viaggia verso di te, diventa te stesso.

Per fede Abramo, per fede Sara, per fede anch’io: lech lechà, torna a te stesso, ritorna al cuore, con il coraggio di cercare, di sciogliere le vele, di partire, di abitare la vita da desto, pronto a vegliare su ogni germoglio che nasce.

Primo tempo della parabola: il padrone se ne va e ti affida tutto: le chiavi, la gente e i beni di casa.

Dio è il grande assente, che crea e poi si ritira. Un padre vero. La sua assenza ci pesa, ma è la vera garanzia della nostra libertà.

Se Dio fosse qui, visibile e incombente, chi si muoverebbe più? Un Dio che si impone sarà anche obbedito, ma non sarà mai amato dai liberi figli che noi siamo.
Secondo momento: nella notte i servi vegliano, con le vesti da lavoro e la lucerna accesa. Anche se è notte, tu vigila e lavora per la tua famiglia, la porzione di mondo affidata a te, la madre terra. Con quello che hai, meglio che puoi. Accendere una piccola lampada vale più di cento imprecazioni contro il buio.

Arriva il terzo momento. “E se giungendo prima dell’alba, il padrone li troverà svegli”…“Se”. Non è sicuro, non è un obbligo, è di più; non un dovere ma la garanzia di uno stupore:

Beati loro! Perché Dio è rimasto incantato. E mi immagino il volto sorridente del padrone a quella scoperta.

E li farà mettere a tavola, si cingerà le vesti, e passerà a servirli. Il punto sublime del racconto è questo: quando accade l’impensabile e il padrone si fa servitore dei suoi servi. Fantasia di Dio!

I servi sono signori. E il Signore è servo. Questo sarà il Signore che io servirò, perché è l’unico che si è fatto mio servitore.

Dov’è il tuo tesoro, là corre il tuo cuore. Mio tesoro è un Dio pastore di costellazioni e di piccolissimi greggi, che chiude le porte della notte e apre quelle della luce.

NOTIZIARIOISOLEOLIE.IT

“Maestro, dividi l’eredità tra me e mio fratello”.

Da sempre la fratellanza affatica intere famiglie. Come due domeniche fa, con Marta e la sorella.
E Gesù cosa fa? Scavalca, va oltre le domande, passa a un piano più profondo. E lo fa con una storia: si inventa la parabola dell’uomo ricco, euforicamente preso dentro il vortice delle molte cose: Ho molti soldi per molti anni. Anima mia, mangia, bevi, riposa e divertiti”.

Niente di sbagliato fino a qui. Il Vangelo non è moralista, non vuole disamorarci della vita, della gioia di vivere. Gesù stesso ha tra i suoi seguaci gente anche molto ricca, come Zaccheo, Lazzaro, Giuseppe d’Arimatea, donne con molti averi.

Ma la felicità non può mai essere solitaria ed ha a che fare con il dono. L’innesco del dramma è la solitudine dell’uomo ricco, il suo deserto di relazioni: nessun volto, nessuno in casa, nessuno nel cuore. Neanche Dio. E quando ragiona tra sé e sé, quest’uomo ha un solo aggettivo nel suo vocabolario: “mio”: i miei raccolti, i miei magazzini, la mia vita, dirò a me stesso, anima mia.
Questa stregoneria del “mio” è la passione più stupida che ci sia.

Stolto, questa notte stessa ti sarà chiesta indietro la tua vita.

Stolto non vuol dire cattivo o disonesto, ma poco intelligente, perché ha sbagliato investimento. Lui investe sulle cose, cose che hanno un fondo, ma il fondo delle cose è vuoto.

Altro che magazzini più grandi, è lì la tomba della sua anima!

“E se l’anima scende dal suo trono, la terra muore” (M. Gualtieri).

NOTIZIARIOISOLEOLIE.IT

Un rabbi che entra nella casa di due donne, sovranamente libero di parlare a loro che erano le escluse, mettendo a parte le donne, come Gabriele, dei più riposti segreti del Signore.

Marta è la donna dell’accoglienza generosa, di mani e di pane sulla tavola per tutti.
Maria è l’accoglienza dell’ascolto, si siede ai piedi del maestro e beve ogni sua parola.

Marta corre dentro e fuori dalla cucina, alimenta il fuoco, esce in cortile e torna a controllare le pentole; passa e ripassa, affaccendata per tutti.

Maria, rapita, ascolta Gesù. Tutti i pregiudizi sulle donne saltano per aria; per la prima volta si rompe ogni schema, ogni distanza formale maestro-discepola si infrange come un vaso di profumo, e l’aroma riempie la casa.
Conosciamo tutti il miracolo della prima volta. Poi, ci si abitua. L’eternità invece è non abituarsi mai.

Maria ha scelto la parte buona, ha iniziato dalla parte giusta il suo cammino con Dio: dal tu per tu, dal faccia a faccia. Il primo servizio da rendere all’amico, quando amico è un nome di Dio, è ascoltarlo, stare con lui, vicino col cuore.

La casa si è riempita di gente e Marta teme di non farcela. Allora con la libertà dell’amicizia s’interpone tra Gesù e la sorella: “dille che mi aiuti!”. Gesù l’ha seguita con gli occhi, ha ascoltato i rumori e sentito l’odore del cibo, era come se fosse stato in cucina con lei.

“Marta, Marta, tu ti affanni per troppe cose”. Gesù non contraddice il servizio, ma l’affanno. Non si oppone al suo cuore generoso, ma ne contesta l’ansia.

E a noi ripete: attento a un troppo che è in agguato, che può ingoiarti: troppo lavoro, troppi desideri, troppo correre. Ti siedi ai piedi di Cristo e scopri che “una cosa sola è necessaria”, ed è saper distinguere tra illusorio e permanente, tra effimero ed eterno.
Marta, non disperderti nelle troppe faccende di casa, tu sei molto di più. Tu puoi stare con me in una relazione diversa, condividere non solo servizi, ma pensieri, sogni, sapienza, conoscenza.

Perché Gesù non cerca servitori, ma amici; non vuole al suo seguito persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare delle cose dentro di sé.

Gli occhi di Maria sono liquidi di felicità; quelli di Marta, di corse e di fatica.

Le due sorelle tracciano i passi della fede di ogni credente: passare dall’affanno di ciò che devo fare per Dio, allo stupore di ciò che Lui fa per me, passare da Dio come dovere a Dio come ringraziamento.

Marta e Maria non si oppongono, i loro modi di amare sono complementari e entrambi necessari, poli di un’unica legge: amerai il Signore tuo Dio e amerai il prossimo tuo; una sola beatitudine in due tempi: beati quelli che ascoltano la Parola, beati quelli che la mettono in pratica.

“Una sola è la cosa di cui c’è bisogno” : non vivere senza mistero, non vivere senza relazioni.

Riprendi allora il ritmo del cuore; abbi il coraggio di far volare più lente le tue ali, più quiete le tue mani.

Io sono Marta, io sono Maria; dentro di me le due sorelle si tengono per mano.

NOTIZIARIOEOLIE.IT

Un rabbi che entra nella casa di due donne, sovranamente libero di parlare a loro che erano le escluse, mettendo a parte le donne, come Gabriele, dei più riposti segreti del Signore.

Marta è la donna dell'accoglienza generosa, di mani e di pane sulla tavola per tutti. Maria è l'accoglienza dell'ascolto, si siede ai piedi del maestro e beve ogni sua parola. Marta corre dentro e fuori dalla cucina, alimenta il fuoco, esce in cortile e torna a controllare le pentole; passa e ripassa, affaccendata per tutti.

Maria, rapita, ascolta Gesù. Tutti i pregiudizi sulle donne saltano per aria; per la prima volta si rompe ogni schema, ogni distanza formale maestro-discepola si infrange come un vaso di profumo, e l'aroma riempie la casa.

Conosciamo tutti il miracolo della prima volta. Poi, ci si abitua. L'eternità invece è non abituarsi mai.

Maria ha scelto la parte buona, ha iniziato dalla parte giusta il suo cammino con Dio: dal tu per tu, dal faccia a faccia. Il primo servizio da rendere all'amico, quando amico è un nome di Dio, è ascoltarlo, stare con lui, vicino col cuore.

La casa si è riempita di gente e Marta teme di non farcela. Allora con la libertà dell'amicizia s'interpone tra Gesù e la sorella: “dille che mi aiuti!”. Gesù l'ha seguita con gli occhi, ha ascoltato i rumori e sentito l'odore del cibo, era come se fosse stato in cucina con lei.

“Marta, Marta, tu ti affanni per troppe cose”. Gesù non contraddice il servizio, ma l'affanno. Non si oppone al suo cuore generoso, ma ne contesta l'ansia.

E a noi ripete: attento a un troppo che è in agguato, che può ingoiarti: troppo lavoro, troppi desideri, troppo correre. Ti siedi ai piedi di Cristo e scopri che “una cosa sola è necessaria”, ed è saper distinguere tra illusorio e permanente, tra effimero ed eterno.

Marta, non disperderti nelle troppe faccende di casa, tu sei molto di più. Tu puoi stare con me in una relazione diversa, condividere non solo servizi, ma pensieri, sogni, sapienza, conoscenza. Perché Gesù non cerca servitori, ma amici; non vuole al suo seguito persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare delle cose dentro di sé.

Gli occhi di Maria sono liquidi di felicità; quelli di Marta, di corse e di fatica.

Le due sorelle tracciano i passi della fede di ogni credente: passare dall'affanno di ciò che devo fare per Dio, allo stupore di ciò che Lui fa per me, passare da Dio come dovere a Dio come ringraziamento.

Marta e Maria non si oppongono, i loro modi di amare sono complementari e entrambi necessari, poli di un'unica legge: amerai il Signore tuo Dio e amerai il prossimo tuo; una sola beatitudine in due tempi: beati quelli che ascoltano la Parola, beati quelli che la mettono in pratica.

“Una sola è la cosa di cui c'è bisogno”: non vivere senza mistero, non vivere senza relazioni.

Riprendi allora il ritmo del cuore; abbi il coraggio di far volare più lente le tue ali, più quiete le tue mani.

Io sono Marta, io sono Maria; dentro di me le due sorelle si tengono per mano.

Categoria
religione

Articoli correlati

1 giugno 2025

ARCHIVIO. 2025/2014

sezione "RELIGIONE"

29 agosto 2025

Da Melbourne in linea Marcello D'Amico. Anche noi abbiamo festeggiato San Bartolomeo

Seguendo la tradizione religiosa che dura a Melbourne da 96 anni.

3 agosto 2025

Ginostra, la Chiesa di San Vincenzo ha riaperto i battenti..

L'Arcivescovo accolto dal suono delle campane...