
Da Milazzo Ettore Resta. 'Ustica. Dove sei papà'
di Ettore Giulio Resta
Storia: Romanzo iniziato sull' Etna il 04.02.91, ripreso ad Ustica nell' Agosto 99. Terminato a Milazzo nel Settembre 99. Ripreso e rielaborato a Lipari ed a Ustica nel gennaio 2000.
Prefazione
“Una decisa ma nostalgica descrizione di luoghi e tempi assai lontani che possano avvicinare la protagonista ad affetti ormai perduti. Paesaggi, luci, tramonti, odori e saporì di isole Siciliane descritti in un viaggio alla scoperta di notizie su suo padre confinato ad Ustica, e mai più rivisto da quando era una bambina. Un padre che ama la sua piccola con lo stesso amore sconfitto che ha sempre nutrito per il suo mare, una madre poco coraggiosa e molto padrona, la calma e la dolcezza dei personaggi isolani, che sembrano cullarti tra i flutti del loro mare color zaffiro. Un racconto profondo e appassionante che, pian piano si trasforma nella narrazione dei ricordi d'infanzia vissuti m barca a vela con suo padre e, senza un motivo apparentemente logico, interrotti bruscamente. L'occasione per conoscere l’autore Ettore Giulio, Resta mi si é presentata un venerdì pomeriggio durante un viaggio sull' aliscafo "Pinturicchio" che collegava Palermo ad Ustica. Una traversata abituale per me, almeno da aprile a settembre, ma questa volta, mentre ero assorta nei miei pensieri cittadini, un marinaio mi invitò ad entrare in plancia. Li mi accolsero con un sorriso sincero ed affettuoso l’equipaggio ed il Comandante che si ricordava di me dai viaggi per l’isoletta iniziati tanti anni prima. Mi offrì un caffè ed iniziammo a parlare dì Ustica, del mare, dei delfini che sì incontravano spesso durante la tratta e di molte altre cose. Li nacque una vera amicizia, con chiacchierate per lo più sul mare, ma sempre piene di culture, insegnamenti, pareri, serenità e tante scoperte come quella che, oltre ad essere Capitano di Lungo Corso, è anche pittore, scultore, scrittore, poeta e commediografo, e pian piano mi feci descrivere alcune delle sue opere, visto che parecchie di esse si trovano in musei internazionali. Una persona ricca, preparata, nostalgica ed avventurosa, un padre affettuoso, un amico sincero al quale sento di dire: Grazie!”
Daniela LA PORTA
Ustica. Dove sei papà
Capitolo 1
Il giorno dopo Cinzia tornò a guardare lontano cercando di vedere verso ponente oltre l'orizzonte. Ma, tranne alcune isole Eolie, nulla apparve ai suoi occhi e ne rimase turbata. Le sopracciglia si inarcarono come le fosse stato fatto un torto. Guardò ancora a lungo, ma invano… Anche quell'ultima speranza stava per crollare. Forse sarà stata un'inconscia pretesa. A dir vero in se stessa era convinta che avrebbe raggiunto un nulla di fatto. Abbassato gli occhi, lasciò scivolare lo sguardo lungo il costone sottostante. L'altezza era tanta e non poté non notare lo sciacquio del mare che, lasciando una striscia di bianca schiuma nell' avanzare verso la costa mugolando come sconfitta, si assottigliava scomparendo nel nulla. Tutto era reale e nello stesso tempo infinito. Avrebbe voluto vedere suo padre ma era trascorso tanto di quel tempo che la stessa ipotetica presenza era da escludere. Ma l'ansia ed il desiderio di incontrarlo, parlargli, era tanta da credere di vederlo apparire da un momento all'altro dai prati a lei intorno. La brezza nel salire dal mare bisbigliava con l'erba secca come volesse commentare l'intento. Quella brezza che soffiando nei riccioli dei capelli, li scompigliava. L'idea che suo padre fosse passato e vissuto in quel luogo la poneva in agitazione. Pian piano, frugando nei ricordi cercò di rivivere la presenza di quell' uomo che volutamente aveva rifiutato abbandonandolo. Adesso che aveva raggiunto la maggiore età, stava per capire quanto grande fosse stato quell' errore, quella lacerazione dolorosa, che ora in parte voleva ricucire. Non avendo avuto l'età per capire certi sentimenti, non poteva sapere a cosa stesse per andare incontro.... '' Mi scusi, è questo l'aliscafo per Ustica?'' ''Si signorina'' le fu risposto. '' Per l'imbarco ci vuole molto?'' '' Un paio di minuti ancora.'' ''Grazie'' ''Di nulla''. Guardato l’orologio, Cinzia si allontanò per porsi al riparo dal sole sotto il portico della stazione marittima di Palermo ed attese. Come colpito da un’eccentrica bellezza, il marinaio continuò a seguirla con lo sguardo.'' Che fascino!'' esclamò. Una grande nave bianca era attraccata e forse anche essa in partenza. L'alta statua in bronzo posta nell'ampio piazzale, sembrava le stesse andando incontro porgendole un ramoscello di ulivo...L' alto piedistallo marmoreo era macchiato dalle colature del rame prodotto degli acidi e dalla pioggia. In quel mentre, percepì fortemente la sensazione che la propria famiglia fosse stata distrutta perché vittima di esecutori di una giustizia pari ad una congiura medioevale. A quel pensiero scosse il capo lasciando ondeggiare i boccoli rossi. Il significato della statua apparve del tutto diverso quando l'aliscafo, tolto gli ormeggi, iniziò a manovrare per lasciare il porto. Sembrava rincorrerla e dirle con atteggiamento materno: ''Dove stai andando, vieni qua?'' Ma il suo eco era ormai lontano. Monte Pellegrino, l'Addaura e le villette celate nel verde bosco facendo mostra di sé con la loro scogliera stavano per essere doppiati... Dopo qualche ora, terminando di rombare, il bianco bolide dalla striscia arancio cromo raggiunse Ustica. Al termine dell'ormeggio, i passeggeri si prepararono per lo sbarco. Era il periodo delle manifestazioni subacquei in onore della riserva marina e gente in arrivo ve ne era tanta. Quando la passerella fu appoggiata allo scafo ed il portellone d'uscita fu aperto, tutti con i loro bagagli si accalcarono per toccare con entusiasmo il molo del porticciolo. Non tutti gli arrivati erano attesi, ma tutti attoniti guardarono ugualmente intorno curiosi per essere giunti in un mondo diverso. Superato l'istante di smarrimento, credettero di percepire le sensazioni provate dai conquistatori delle nuove terre. Il mare non era stato cattivo e la traversata, anche se lunga, non era stata monotona e noiosa. Certo l'ansia aveva fatto presa su di loro spingendoli a curiosare dagli oblò lungo il vasto arco dell'orizzonte. La vorticosa e schiumosa bianca scia a poppa non lasciava alcun dubbio sulla elevata velocità dell’imbarcazione. Scrutavano alla ricerca dell'isola, di navi, di barche a vela, di delfini o di altri pesci gironzolanti in quel mare come senza meta ...e quando l'isola pian piano apparve in tutta la sua lunghezza, l'esclamazione fu unanime. Sembrava fosse un piccolo geco rivolto ad est pronto a carpire il momento magico al sorgere del sole. Cinzia aveva appena poggiato il piede sull' arida banchina quando sentì di essere scossa da un brivido. Stava calpestando sul suolo le orme che anni prima aveva lasciato suo padre. Quando tutti andarono, rimasta sola, iniziò a contemplare le arcate sormontate ad anfiteatro dal paesino. Ammirata tese l'orecchio, cercò di udire gli echi di quelle voci sofferenti vaganti ancora tra i rami degli alti eucalipti e le scure rocce. Bianchi gabbiani planando volteggiavano. Forse avrebbe voluto vedere dei falchi od altri rapaci, ma questi non c’erano. I volatili silenziosi si mescolavano ai colombi insidiando un’ampia grotta verde colma di muschio cresciuto intorno alle umide colate d' acqua, certi di recuperare qualche poca bevuta. Tutto ciò che la stava circondando doveva essere lugubre, invece stava per apparirle stupendo, del tutto inverso da quello che aveva immaginato e creduto d' incontrare. Non vi era più gente in catene condannate ad esistere in una forma ben diversa da quella concepita. A parte i criminali, molti di quegli uomini era stata gente che non aveva fatto male ad alcuno tranne il torto di aver avuto delle ideologie politiche diverse e forse più aperte ed umane. Non essendo venuto nessuno a prenderla, presa per l'impugnatura la pesante valigia a rotelle, data una sbirciata alla strada in salita, iniziò a tirarla dietro dirigendosi verso il paese. Andò con calma e senza fretta come volesse rilassarsi fermando il tempo. Attratta dalla curiosità, tutto fu indice di attenzione e di studio. La stratificazione delle pietre vulcaniche sferiche od ovalizzate denunciavano un continuo rotolare marino. Doveva essere il vecchio livello del mare prima dell'attuale per la continua emersione dell'isola. Le barchette all' ancora placide, le grandi barche a vela agli ormeggi, la nera sabbiosa spiaggia occupata da bagnanti al sole, la bianca grande nave traghetto ormeggiata anche lei in andana col portellone poggiato sulla banchina a lei riservata, l'aliscafo silenzioso in attesa dell'ora di ripartenza, il mare calmo che mormorava con gli scogli per mezzo delle bave d'onde prodotte dagli scattanti gommoni, visti dalla parte alta della strada, era a dir poco fantastico. Tutte le barchette turistiche stavano una per volta lasciando gli ormeggi alla ricerca delle calette e delle grotte ove poter trascorrere le ore assolate con frescura in piena tranquillità.
Ustica. Dove sei papà Capitolo 2 Il paesino
Un odore vagante di buon cucinato stava per invitarla a tavola. Lei non sapeva cucinare ma gradiva mangiar bene e gustoso. Lasciato alle spalle alcune vilette poste al bivio che portava al villaggio pescatori ed allo strapiombo del punto panoramico dell'Omo Morto, Cinzia proseguì portandosi all'ombra degli alti alberi verdi e frondosi. Un continuo ticchettio d' acqua gocciolante attirò la sua attenzione. Sollevato il capo stette a guardare l'alto dirupo ombreggiato dagli alberi che aveva visto seguendo i volateli assetati. Fermatasi, guardò con insistenza. ''Ma guarda!'' esclamò '' dalla montagna gronda acqua.'' I ticchettii si susseguirono. Le strisce di umido sormontate dai verdi cespugli di giunco rivelavano la loro provenienza. La roccia dal colore grigio bruciato, formata da un granulato di sferette laviche soffiate e compatte, aveva acquisito la funzione di una grande spugna. Ciò le suonò strano perché da sempre gli isolani avevano fortemente sofferto la sete. L'acqua era stata il problema maggiore per la loro vita. Con queste credenziali, Ustica stava per trasmetterle il suo fascino particolare ed ella, malgrado lo percepisse, stava per essere ammaliata ed inglobata in quella forma di esistenza, di invisibile sofferenza latente. Forse perché scossa dalle letture storiche, l'isola stava lasciando affiorare quella parte ad essa stessa ignota. Una realtà c'era. Quell'isola che oggi le stava per apparire come un paradiso, fin dai cartaginesi era stata una terra di sofferenza. I futuri l’avrebbero battezzata Osteodes, ovvero ossario, avendo trovate sparse le ossa di schiavi lasciati come scorta in quel lontano deposito di esseri come fosse un pollaio. ''Scusi '' chiese timidamente ad alcuni signori che invece di procedere lungo la strada stavano per risalire degli ampi gradini in selciato fatti a passo di mulo.'' Per la Grotta Azzurra?'' ''Segua la strada, all' incrocio la prima curva a sinistra a meno che non voglia seguirci per le scale. Con quella valigia però non lo consiglio.'' Terminato lo scambio di cortesie, proseguirono oltre. ''Grazie ancora '' aggiunse lei nel riprendere il cammino. " E’ tutto un dire " disse a se stessa a bassa voce "facile a dirsi, speriamo sia anche facile a farsi." A farsi sentire intanto era il caldo. Il sole fin dal sorgere aveva picchiato su quel fronte di isola senza dare tregua.'' Ecco la curva a sinistra! Caspita che salita...e chi riesce a farcela!'' Fermatasi stette ad osservare le case costruite con le porte d' ingresso aperte proprio sulla strada. " Non hanno paura che qualche auto imboccandola male possa infilarsi in casa? Chissà quanto fumo e rumore!''. Mentre si chiedeva questo, rimase attratta da un murales. Rappresentava una vetta rocciosa immersa nell'azzurro del cielo. "Che bello!'' esclamò. ''Avranno adoperato un colore particolare per ottenere tanto effetto''. Ne guardò un altro e poi ancora un altro. Ovunque girasse lo sguardo vedeva murales piccoli, grandi, belli e non. " Quanti! Non ne avevo mai visto tanti!”. Ripreso il trolley, continuò avanti. " Accidenti quanto pesa!" Forse per un'altra persona non sarebbe stato molto gravoso ma per lei era come fosse un rimorchio ben carico. Cinzia era giovane, bella, dalla carnagione bianchissima, lentigginosa, esile ma non con troppa forza. I capelli ricci e lunghi, ariosi le cadevano a ventaglio sulle spalle malgrado fossero bloccate da un vistoso ferma capelli. Gli occhiali di colore scuro, le riparavano i sensibili occhi dalla forte luce evitandole un continuo starnutire ed un eventuale mal di testa, non le destavano alcun fastidio. Si era talmente abituata da essersi persino dimenticata del difetto allergico. I suoi polpacci, malgrado fosse una sportiva, erano in armonia con le sode gambe e la signorile andatura lo era con tutto il corpo, persino con l'espressivo sorriso delle labbra. Però questa volta la salita le stava per essere pesante e lei pregava che finisse al più presto. Visto il movimento di persone dedusse che doveva essere giunta in piazza, anche questa in salita. Intravista la chiesa circondata da frondosi alberi, ebbe da andar avanti ancora. Come in ogni paesino, tutti erano seduti a godere il refrigerio del' ombra. In quello ricordò: – E’ tutto ieri e tutta la notte che piove. In roulotte sembra essere dentro un tamburo.’’ Anche se la musica le aveva fatto compagnia, la pioggia proprio non riusciva a tollerarla. Al mattino erano apparse chiazze bianche di neve là dove gli alti pini lasciavano spazio. La strada poco distante, immersa nel silenzio, era tutta un candore bianco. Intanto adesso le faceva male la spalla destra e quasi le impediva di continuare. Mormorando continuò oltre. La chiesa dominava la piazza con il suo frontespizio ornato con ceramica. Il sagrato alberato, tutto in piano, doveva essere il regno preferito dai passeri e di altri volatili per il volume del loro chiassoso cinguettio. Adesso la strada biforcava e qui il nuovo dilemma. Mentre cercava di risolverlo, un autobus in miniatura da città, le passò a fianco. ‘’Guarda là...quanta fatica avrei risparmiato. Però è grazioso... sembra fatto su misura per le stradine del paesino." E mentre era immersa nella fatica cadette di ascoltare il coro del Nabucco. Guardando dai vetri della roulotte, al cadere del nevischio, gli alberi sembrarono muoversi, quasi voler danzare come stessero ascoltando anche loro. In quello, per la stanchezza, aveva iniziato a vivere i sintomi di un delirio.