Cassazione (e non solo) & sentenze... Condono edilizio respinto

Cassazione (e non solo) & sentenze... 

Condono edilizio respinto: il Comune non può ordinare subito la demolizione.
Il rigetto dell’istanza di condono non comporta in automatico l’abbattimento dell’immobile. Analizziamo insieme un caso recente.

Il rigetto dell’istanza di condono non comporta in automatico l’abbattimento dell’immobile. Prima di adottare l’ordinanza di demolizione, l’amministrazione deve rispettare le garanzie procedimentali, assicurando il contraddittorio e il diritto di difesa del cittadino.

Analizziamo un recente caso. Il ricorrente era il proprietario di un immobile in relazione al quale veniva presentata istanza di condono (ex decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, conv., con mod., dalla 24 novembre 2003, n. 326 – c.d. terzo condono). La sanatoria aveva a oggetto un piccolo locale, per deposito attrezzi, ovverosia di un vano di circa 4 mq sul terrazzo, non abitabile, avente natura pertinenziale del fabbricato.

La domanda di condono veniva rigettata in ragione per la presenza di un vincolo di inedificabilità relativa nell’area ove ricadeva l’immobile. Nel corso del giudizio, il Comune notificava al privato un’ordinanza di demolizione del manufatto abusivo.

Sulla questione è intervenuto il TAR Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 3934/2025, respingendo la domanda rivolta a contestare il rigetto del condono, ma accogliendo la domanda rivolta a contestare l’ordinanza di demolizione.

Tra abusi edilizi, condono e tutela del paesaggio
Il tema dell’abusivismo edilizio e del suo rapporto con la tutela del paesaggio è una questione che tocca molte realtà italiane. Da anni, infatti, la nostra normativa cerca di trovare un equilibrio tra il bisogno di regolarizzare alcune situazioni irregolari attraverso strumenti come il condono edilizio e la necessità di proteggere il territorio, spesso fragile e ricco di valori ambientali e storici.

Questa sentenza conferma alcuni principi fondamentali e chiarisce come deve svolgersi il confronto tra cittadini e pubblica amministrazione quando si tratta di abusi edilizi in aree vincolate.

Il condono edilizio rappresenta una possibilità, prevista dalla legge, di sanare quegli interventi edilizi realizzati senza permessi, ma in alcuni casi può essere negato, proprio come nel caso di costruzioni in zone sottoposte a vincoli paesaggistici o ambientali.

Peraltro, al terzo condono (decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269) viene riconosciuto un carattere sicuramente più restrittivo rispetto ai precedenti, in ragione dell’effetto ostativo alla sanatoria anche dei vincoli che comportano inedificabilità relativa.

Questa scelta riflette una chiara volontà dello Stato e delle normative locali: la protezione dell’ambiente e del patrimonio paesaggistico ha una priorità molto alta, che non può essere sacrificata per sanare abusi edilizi.

Sul punto la sentenza in commento è chiara: è valido il diniego alla sanatoria in presenza di vincoli di inedificabilità, anche relativa. Peraltro, nel caso di specie si aveva un aumento di volumetria non assentito, effettuato in zona vincolata e, come tale, non ricadente tra le ipotesi ammesse al condono.

Ordinanza di demolizione tra garanzie procedurali e diritto di partecipazione
Il secondo aspetto di maggior interesse della sentenza in commento riguarda le censure rivolte all’ordinanza di demolizione, comminata proprio in conseguenza del rigetto dell’istanza di condono.

L’ordinanza irrogata è stata annullata dal TAR Lazio, sede di Roma, in quanto adottata in violazione delle garanzie procedurali a tutela dei cittadini. In altre parole, la pubblica amministrazione deve informare la persona interessata, darle modo di difendersi e partecipare attivamente al procedimento. Questa partecipazione non è un mero adempimento formale: rappresenta un momento di confronto essenziale che permette di evitare decisioni arbitrarie e garantisce che tutti gli aspetti siano considerati con attenzione. Solo in situazioni di reale urgenza si può procedere senza questa fase di confronto.

Questo principio è molto importante perché assicura che i cittadini non si trovino di fronte a decisioni prese “dall’alto”, ma che abbiano voce in capitolo e possano tutelare i propri diritti. In termini più ampi, si tratta di un bilanciamento tra la necessità di controllo sull’abusivismo e la tutela dei diritti individuali.

Peraltro, proprio il recente decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69, conv., con mod., dalla legge 24 luglio 2024, n. 105 (c.d. decreto salva-casa), avendo modificato il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (t. u. edilizia), ha ampliato le fattispecie di sanatoria delle difformità edilizie e meglio specificato le c.d. tolleranze costruttive, ipotesi nelle quali potrebbe rientrare anche il piccolo locale in contestazione

NOTIZIARIOISOLEOLIE.IT

Demolizione nuova costruzione: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società contro un ordine di demolizione di una nuova costruzione (una terrazza) realizzata in violazione delle distanze legali. La Corte ha stabilito che un’ordinanza di demolizione non costituisce vizio di ‘ultra petizione’ se la richiesta originaria era di ‘riduzione in pristino’ e che una bozza di sentenza non firmata, inviata per errore, è giuridicamente inesistente e non inficia la validità della decisione finale.

Demolizione Nuova Costruzione: Validità della Sentenza e Limiti dell’Ultra Petizione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta temi cruciali in materia di diritto immobiliare e processuale civile, offrendo chiarimenti importanti sulla demolizione di una nuova costruzione che viola le distanze legali. La pronuncia esamina la validità di una sentenza in presenza di un errore di comunicazione da parte della cancelleria e definisce i confini del vizio di ultra petizione. Questo caso riguarda la trasformazione di un tetto a falda in una terrazza, qualificata come nuova costruzione e quindi soggetta a un ordine di demolizione parziale.

I Fatti del Caso: Dalla Terrazza alla Controversia Legale
Una società immobiliare veniva citata in giudizio da un’altra società proprietaria di un immobile confinante. L’oggetto della contesa era la realizzazione di una terrazza, avvenuta modificando il tetto preesistente dell’edificio. Secondo la società attrice, tale intervento costituiva una nuova costruzione e violava le distanze minime previste dalla normativa urbanistica (d.m. 1444/1968). Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda e ordinava la demolizione parziale dell’opera. La società costruttrice proponeva appello, ma la Corte d’Appello confermava la decisione. Si arrivava così al giudizio di Cassazione, basato su cinque motivi di ricorso.

L’Errore della Cancelleria e la Validità della Sentenza

Il principale motivo di doglianza della ricorrente riguardava un presunto vizio procedurale. Sosteneva di aver ricevuto, nello stesso giorno, due versioni diverse della sentenza d’appello: una prima bozza di 10 pagine, non firmata, e una seconda versione definitiva di 7 pagine, debitamente sottoscritta. Secondo la ricorrente, questa duplicità rendeva la sentenza nulla, poiché era impossibile determinare quale fosse la reale volontà del collegio giudicante.

La Corte di Cassazione ha respinto questa argomentazione, qualificandola come infondata. Ha chiarito che il primo documento ricevuto, privo della sottoscrizione del giudice, è da considerarsi giuridicamente inesistente. Ai sensi dell’art. 161 c.p.c., la mancanza della firma del giudice è un vizio talmente grave da rendere l’atto come mai venuto a esistenza. Di conseguenza, l’unica sentenza valida era la seconda, regolarmente firmata e comunicata come ‘sostitutiva del precedente invio erroneo’. Non vi era, quindi, alcuna incertezza sulla decisione della Corte d’Appello.

La Demolizione della Nuova Costruzione e il Presunto Vizio di Ultra Petizione

Un altro motivo centrale del ricorso verteva sul vizio di ultra petizione. La società ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero ordinato la demolizione della terrazza, mentre la richiesta originaria della controparte era di ‘riduzione in pristino’. Inoltre, l’ordine si basava sul concetto di ‘sopraelevazione’, un fatto che, a dire della ricorrente, non era stato specificamente contestato.

Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto alla ricorrente. Il vizio di ultra petizione si configura solo quando il giudice concede un bene della vita diverso o maggiore rispetto a quello richiesto. In questo caso, la richiesta di ‘riduzione in pristino’ è una domanda più ampia che comprende la demolizione parziale. Ordinare la demolizione della parte di terrazza che superava l’altezza del tetto preesistente non ha fatto altro che accogliere, in parte, la richiesta originaria. La qualificazione dell’intervento come ‘sopraelevazione’ era la conseguenza logica dell’accertamento che la terrazza era una demolizione di nuova costruzione, fattispecie che faceva scattare l’applicazione delle norme sulle distanze.

La Discrezionalità del Giudice sulla Richiesta di Nuova CTU

Infine, la ricorrente si doleva del fatto che i giudici non avessero accolto la sua richiesta di disporre una nuova Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per chiarire se l’intervento fosse una ristrutturazione o una nuova costruzione. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la nomina di un CTU o il rinnovo di un’indagine tecnica rientrano nel potere discrezionale del giudice. Quest’ultimo non è obbligato ad accogliere tale richiesta se ritiene di avere già elementi sufficienti per decidere. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano implicitamente rigettato l’istanza, ritenendo ‘evidente’ sulla base delle prove esistenti, incluse le conclusioni della CTU già espletata, che l’opera fosse una nuova costruzione.

Le Motivazioni della Corte
Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su principi chiari di diritto processuale e sostanziale. In primo luogo, viene ribadita la distinzione tra nullità e inesistenza giuridica di un atto: una sentenza senza firma non è semplicemente nulla, ma inesistente, e quindi incapace di produrre effetti. In secondo luogo, la Corte ha applicato un’interpretazione sostanziale del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, affermando che la demolizione è una species del più ampio genus della riduzione in pristino. Infine, ha confermato l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella gestione degli strumenti istruttori, come la CTU, il cui mancato rinnovo non è sindacabile in sede di legittimità se la decisione è logicamente motivata, anche implicitamente.

Conclusioni

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. Insegna che gli errori materiali delle cancellerie, se prontamente corretti, non viziano necessariamente l’intero processo, specialmente quando l’atto erroneo è privo di requisiti essenziali come la firma. Sottolinea inoltre che, in tema di opere edilizie, la richiesta di ripristino dello stato dei luoghi è una domanda flessibile, che consente al giudice di adottare la misura più idonea, inclusa la demolizione parziale, senza incorrere nel vizio di ultra petizione. Infine, ribadisce che le parti non hanno un diritto incondizionato all’ammissione di ogni mezzo di prova richiesto, poiché il giudice resta il dominus del processo istruttori.

Categoria
giudiziaria

Articoli correlati

3 novembre 2025

Filicudi, Achille Costacurta assolto dalle accuse di stalking e minacce

E ora racconta il suo dramma che per fortuna ha superato...

26 ottobre 2025
15 ottobre 2025

Demanio marittimo, il Cga boccia il decreto della Regione la competenza passa al consiglio comunale

Accolto il ricorso dell’Associazione Turistica Balneare Siciliana...