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Lipari, Pietro Lo Cascio: La pomice occasione persa con la fine del male di pietra e della miniera»...

di Fabio Balocco

Dal 2000 le Eolie sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, primo sito italiano per i valori ambientali. La richiesta di sospendere e riconvertire l’attività mineraria è stata motivata dal fatto che l’escavazione avrebbe letteralmente smantellato uno dei più importanti vulcani spenti dell’arcipelago, Monte Pilato, luogo di straordinaria importanza geologica, dove una colata di ossidiana interrompe la continuità di un cono interamente edificato da depositi di pomice. Per fermare l’estrazione mineraria era stata anche proposta una riconversione dell’area in un parco geominerario, da sempre auspicato dall’Unesco, che nel 2002 è stata rigettata dall’azienda Pumex. Parte una catena di provvedimenti che hanno portato il curatore fallimentare dell’area di rifiutare 5 milioni di euro della Regione Siciliana per comprarla e realizzare il parco geominerario; ne accetta invece 3 per venderla ai privati per una speculazione immobiliare. Il sindaco tace e tace anche il Consiglio comunale

► Pietro Lo Cascio è un naturalista che vive a Lipari, nelle isole Eolie. Nel 1999 ha accompagnato la commissione Iucn (International Union for Conservation of Nature) che si è poi pronunciata a favore dell’iscrizione dell’arcipelago nella World Heritage List. Nel 2001 ha fondato Nesos, un’associazione impegnata nella promozione del turismo naturalistico e nella gestione di progetti di conservazione e monitoraggio della biodiversità, ed è stato consigliere comunale dal 2007 al 2017. È anche vicepresidente della Società Siciliana di Scienze Naturali ed è stato membro del comitato tecnico-scientifico del Parco archeologico delle Eolie.
— A Lipari è rimasta attiva per decine di anni una cava di pomice, a suo modo diventata famosa: anche i Fratelli Taviani la utilizzarono per una scena nel film Kaos. Tu l’hai definita “una ferita clamorosa”. Pietro, ci puoi spiegare meglio?

«La cava è stata per decenni una importantissima risorsa economica e anche una sorta di simbolo dell’isola, immortalato nelle scene del film, in migliaia di cartoline e di fotografie scattate dai turisti. Però le aree minerarie occupano circa un decimo della superficie di Lipari, in un’isola che si estende per appena trentasette chilometri quadrati. Quando nel 2000 le Eolie sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, primo sito italiano per i valori ambientali, la richiesta di sospendere e riconvertire questa attività è stata motivata dal fatto che l’escavazione avrebbe letteralmente smantellato uno dei più importanti vulcani spenti dell’arcipelago, Monte Pilato, luogo di straordinaria importanza geologica, dove una colata di ossidiana interrompe la continuità di un cono interamente edificato da depositi di pomice. In qualche modo l’Unesco ci ha chiesto cosa volevamo fare da grandi: una destinazione che richiamasse il turismo legato al nostro patrimonio ambientale e paesaggistico, o una miniera a cielo aperto? La scelta più assennata, direi anche inevitabile, era quella di chiudere il capitolo dell’estrazione della pomice, ma per fare questo era stata anche proposta una riconversione dell’area in un parco geominerario, da sempre auspicato dall’Unesco, che tuttavia nel 2002 è stata rigettata dall’azienda. Peccato, perché allora c’erano tutte le condizioni – dalla sensibilità istituzionale alla disponibilità finanziaria – per realizzarlo davvero, garantendo anche un’occupazione dignitosa ai lavoratori della pomice. Un’occasione persa».

— Una ferita al territorio, all’ambiente, al paesaggio ma anche un’occasione di lavoro per tanti liparesi…

«La pomice ha sfamato centinaia di famiglie per decenni, è vero, ma negli ultimi tempi, quelli prima della chiusura della cava, la Pumex – l’impresa titolare delle concessioni minerarie – contava appena quaranta dipendenti, tra cui solo sedici operai. Questo perché, con l’avvento della meccanizzazione e di sistemi più moderni, si era notevolmente ridotta la necessità di manodopera. Se confrontiamo questi numeri con quelli del comparto del turismo, il paragone non regge. Va anche detto che tutti i dipendenti Pumex hanno avuto garantito un ripiego in lavori socialmente utili, e chi non è andato in pensione è ancora oggi impiegato al comune, all’azienda sanitaria, al museo archeologico. Inoltre, quando si parla di pomice, va ricordato il fatto che tantissime persone hanno perso la vita nella cava per incidenti sul lavoro, ma soprattutto per colpa della silicosi, una malattia che ha colpito spesso anche gli abitanti dei paesi vicini, donne, bambini, e che fino agli anni Sessanta non veniva nemmeno riconosciuta tra le malattie professionali. Il “male di pietra”, come lo ha definito Vincenzo Consolo nel “Sorriso dell’ignoto marinaio”».  

— La cava è ormai chiusa dal 2007 a seguito del fallimento dell’ultima impresa attiva, la Pumex. Ci puoi parlare della vicenda prima extra processuale e poi processuale che ha portato all’alienazione dei terreni e dei manufatti?

«Come prevede la legge, è stato nominato un curatore fallimentare che nel 2021 ha iniziato a vendere il materiale ferroso degli impianti e dei pontili e aveva avviato trattative per la cessione degli immobili. Di fronte a questa prospettiva, che avrebbe definitivamente precluso qualsiasi possibilità di trasformare un giorno l’area in un parco geominerario, un movimento di opinione locale e alcuni giornali nazionali hanno sollecitato l’intervento della Regione, che in effetti c’è stato: l’allora governatore Musumeci prese l’impegno di vincolare l’area e di stanziare una somma ragionevole – circa 5 milioni di euro – per il suo acquisto. Il curatore ha però presentato ricorso al Tar contro il vincolo etno-antropologico e, cosa veramente incredibile, ha vinto, rifiutando di fatto l’offerta della Regione. La cosa ancora più incredibile è che nel 2024 si è materializzata un’offerta da parte di privati per una somma inferiore a 3 milioni di euro e il curatore non ha avuto nulla da eccepire, anche se ancora la vendita non si è concretizzata. Evidentemente, nel tempo la cava deve avere subito una progressiva svalutazione…».

— Il sindaco di Lipari come si pone rispetto a questa vicenda?

«Tace. Tace anche il consiglio comunale. Tacciono tutti. Un silenzio imbarazzante, inspiegabile, e grave. Posso capire che un piccolo comune non disponga delle risorse necessarie per rilevare e recuperare l’area, ma sicuramente l’amministrazione comunale ha il dovere di intervenire presso sedi adeguate – la Regione, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica – perché le indicazioni dell’Unesco in merito alla creazione di un parco geominerario sono chiare. Altrimenti che senso ha avuto chiudere a suo tempo la cava? Per trasformarla in un’area privata dove qualche investitore sogna di potere realizzare alberghi di lusso e annessi? Allora sarebbe stato meglio tenerci la pomice».

— E come si pongono i cittadini di Lipari?

«Come sempre accade in questi casi, c’è chi è a favore della privatizzazione in nome del “purché si faccia qualcosa” e c’è chi la considera un errore madornale che sconteremo nel tempo. Io, senza alcun dubbio, faccio parte dell’ultima schiera. Un chilometro lineare di costa, migliaia e migliaia di metri cubi di volumetria, fanno certamente gola, ma perderli sarebbe una sconfitta epocale per Lipari, per qualsiasi futuro progetto di turismo sostenibile, per la stessa identità del territorio. Chi la pensa come me continua a sperare che qualcuno si assuma le proprie responsabilità e intervenga, anche se i segnali sono sconfortanti».

— Il fatto che l’arcipelago sia Patrimonio dell’Umanità Unesco non offre il destro a che il progetto possa essere fermato?

Le Eolie sono nella World Heritage List da 25 anni e ancora oggi non hanno un ente gestore. Ciò significa che non c’è una strategia, non ci sono progetti, e dunque non ci sono ricadute positive se non quelle vaghe in termini di immagine. Nel 2009 era stata prospettata l’istituzione di un Parco Nazionale, che avrebbe gestito anche il Sito Unesco dell’Arcipelago, ma a Lipari in un paio di mesi sono state raccolte 5000 firme contro, il consiglio comunale ha assecondato le paure irrazionali della gente e ha votato contro all’unanimità, tranne il sottoscritto (allora ero consigliere) e lo ricordo ancora con orgoglio. La politica è pavida, dalle nostre parti».(italialibera.it)

In questi giorni è disponibile su Vimeo il bel film “La cava bianca” della Ethnos film, per la regia di Marco Mensa ed Elisa Mereghetti, con testi dello scrittore Davide Sapienza, film che rievoca la storia della cava e ne fotografa la realtà attuale: https://vimeo.com/1094004718

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