L'Album dei Ricordi di Renato Tripi 'E che nostalgia...'
di Renato Tripi
Tutti, ogni tanto ritorniamo col pensiero alla nostra infanzia a ricordare fatti, avvenimenti, luoghi e personaggi che vorremmo rivedere o rivivere perché lieti e belli o, altrimenti, che vorremmo assolutamente cancellare perché tristi e dolorosi. Tra i personaggi della mia infanzia ve ne sono di strani, stravaganti, estroversi o taciturni, particolari nei loro modi di vivere e di fare tanto da stuzzicare la mia curiosità e fantasia di bambino. Giosuè è uno di questi. Giosuè è un nome fittizio. Per ovvie ragioni di riservatezza non cito il suo vero nome. Giosuè era stato un confinato politico.
Non so bene da dove provenisse, se dal centro o nord Italia. Aveva sposato una donna del luogo dalla quale aveva avuto cinque o sei figli e dopo il crollo del fascismo e la fine della guerra si era stabilito definitivamente sull'isola. Apparentemente era un allegrone, salutava tutti e tutti lo salutavano e per tutti aveva sempre una battuta di spirito. Ma nel suo intimo segreto (certe cose le avrei apprese anni dopo dai suoi figli) era una persona seria e intelligente e istruita e , come spesso accade, qualche volta veniva deriso proprio da quelle persone che si credevano serie, intelligenti e istruite e invece erano degli stupidi ignoranti. Durante la stagione fredda gironzolava con una specie di tabarro sulle spalle e la coppola in testa.
In estate portava camicie a quadri e calzoni di cotone. Ogni tanto Giosuè si rendeva un po' alticcio, né disdegnava qualche volta prendere una vera e propria sbornia intonando ritornelli che capiva solo lui. Durante il periodo lavorativo aveva svolto la sua attività di uomo di fatica dall'alba all'ora di pranzo. Poi , cascava il mondo, doveva fare il suo riposo quotidiano, abitudine che mantenne naturalmente anche da pensionato. In inverno la pennichella si faceva in casa, al caldo. In estate si faceva fuori in qualche luogo appartato e fresco. Chiaramente non esistevano i condizionatori.
C'era allora nella piazza ancora in terra battuta un vecchio edificio che fungeva da pescheria aperto su due dei quattro lati e lì al pomeriggio quando scendeva il maestrale ventilava una leggera brezza che conciliava il sonno. All'epoca non c'erano i rumori molesti che abbiamo oggi come il rombare delle automobili, o lo smarmittare dei motoroni che scorrazzano avanti e indietro o la musica assordante tipo discoteca. C 'era solo il frinire ininterrotto delle cicale dalla mattina alla sera. In quel luogo Giosuè riposava ronfando e sognando forse la sua terra natia.
Dopo il pisolino Giosuè si recava all'osteria, che non era proprio un'osteria ma il negozio di generi alimentari dove si vendeva anche il vino. Giosuè si sedeva al tavolo, davanti alla sua cannata col vino, all'occorrenza faceva qualche solitario con le carte e si alzava solo quando il recipiente era vuoto. -"Giosuè, ma vossia l'acqua l'ha mai bevuta?" Alle persone grandi non si dava il tu o il lei. Si dava il voi, cioè vossia nella nostra lingua dialettale, inteso ancor meglio come vossignoria, vostra signoria. -" Oh figlio mio, non dire cose sconsiderate. Mai bevuto acqua in vita mia. Non so che sapore abbia l'acqua". L'unica acqua che Giosuè conosceva era quella del mare presso la cui battigia nella bella stagione ogni tanto si recava a rinfrescarsi i piedi. Altri tempi. Altri uomini. Amici grazie per avermi letto. Buona serata a tutti. Bacio le mani.
Nella fotografia l'antico bar dalla famiglia Mezzapica. Dietro di esso si intravede il vecchio edificio della pescheria dove Giosuè andava a riposare.