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Demolizione nuova costruzione: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società contro un ordine di demolizione di una nuova costruzione (una terrazza) realizzata in violazione delle distanze legali. La Corte ha stabilito che un’ordinanza di demolizione non costituisce vizio di ‘ultra petizione’ .
Demolizione Nuova Costruzione: Validità della Sentenza e Limiti dell’Ultra Petizione
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta temi cruciali in materia di diritto immobiliare e processuale civile, offrendo chiarimenti importanti sulla demolizione di una nuova costruzione che viola le distanze legali. La pronuncia esamina la validità di una sentenza in presenza di un errore di comunicazione da parte della cancelleria e definisce i confini del vizio di ultra petizione. Questo caso riguarda la trasformazione di un tetto a falda in una terrazza, qualificata come nuova costruzione e quindi soggetta a un ordine di demolizione parziale.
I Fatti del Caso: Dalla Terrazza alla Controversia Legale
Una società immobiliare veniva citata in giudizio da un’altra società proprietaria di un immobile confinante. L’oggetto della contesa era la realizzazione di una terrazza, avvenuta modificando il tetto preesistente dell’edificio. Secondo la società attrice, tale intervento costituiva una nuova costruzione e violava le distanze minime previste dalla normativa urbanistica (d.m. 1444/1968). Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda e ordinava la demolizione parziale dell’opera. La società costruttrice proponeva appello, ma la Corte d’Appello confermava la decisione. Si arrivava così al giudizio di Cassazione, basato su cinque motivi di ricorso.
L’Errore della Cancelleria e la Validità della Sentenza
Il principale motivo di doglianza della ricorrente riguardava un presunto vizio procedurale. Sosteneva di aver ricevuto, nello stesso giorno, due versioni diverse della sentenza d’appello: una prima bozza di 10 pagine, non firmata, e una seconda versione definitiva di 7 pagine, debitamente sottoscritta. Secondo la ricorrente, questa duplicità rendeva la sentenza nulla, poiché era impossibile determinare quale fosse la reale volontà del collegio giudicante.
La Corte di Cassazione ha respinto questa argomentazione, qualificandola come infondata. Ha chiarito che il primo documento ricevuto, privo della sottoscrizione del giudice, è da considerarsi giuridicamente inesistente. Ai sensi dell’art. 161 c.p.c., la mancanza della firma del giudice è un vizio talmente grave da rendere l’atto come mai venuto a esistenza. Di conseguenza, l’unica sentenza valida era la seconda, regolarmente firmata e comunicata come ‘sostitutiva del precedente invio erroneo’. Non vi era, quindi, alcuna incertezza sulla decisione della Corte d’Appello.
La Demolizione della Nuova Costruzione e il Presunto Vizio di Ultra Petizione
Un altro motivo centrale del ricorso verteva sul vizio di ultra petizione. La società ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero ordinato la demolizione della terrazza, mentre la richiesta originaria della controparte era di ‘riduzione in pristino’. Inoltre, l’ordine si basava sul concetto di ‘sopraelevazione’, un fatto che, a dire della ricorrente, non era stato specificamente contestato.
Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto alla ricorrente. Il vizio di ultra petizione si configura solo quando il giudice concede un bene della vita diverso o maggiore rispetto a quello richiesto. In questo caso, la richiesta di ‘riduzione in pristino’ è una domanda più ampia che comprende la demolizione parziale. Ordinare la demolizione della parte di terrazza che superava l’altezza del tetto preesistente non ha fatto altro che accogliere, in parte, la richiesta originaria. La qualificazione dell’intervento come ‘sopraelevazione’ era la conseguenza logica dell’accertamento che la terrazza era una demolizione di nuova costruzione, fattispecie che faceva scattare l’applicazione delle norme sulle distanze.
La Discrezionalità del Giudice sulla Richiesta di Nuova CTU
Infine, la ricorrente si doleva del fatto che i giudici non avessero accolto la sua richiesta di disporre una nuova Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per chiarire se l’intervento fosse una ristrutturazione o una nuova costruzione. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la nomina di un CTU o il rinnovo di un’indagine tecnica rientrano nel potere discrezionale del giudice. Quest’ultimo non è obbligato ad accogliere tale richiesta se ritiene di avere già elementi sufficienti per decidere. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano implicitamente rigettato l’istanza, ritenendo ‘evidente’ sulla base delle prove esistenti, incluse le conclusioni della CTU già espletata, che l’opera fosse una nuova costruzione.
Le Motivazioni della Corte
Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su principi chiari di diritto processuale e sostanziale. In primo luogo, viene ribadita la distinzione tra nullità e inesistenza giuridica di un atto: una sentenza senza firma non è semplicemente nulla, ma inesistente, e quindi incapace di produrre effetti. In secondo luogo, la Corte ha applicato un’interpretazione sostanziale del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, affermando che la demolizione è una species del più ampio genus della riduzione in pristino. Infine, ha confermato l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella gestione degli strumenti istruttori, come la CTU, il cui mancato rinnovo non è sindacabile in sede di legittimità se la decisione è logicamente motivata, anche implicitamente.
Conclusioni
Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. Insegna che gli errori materiali delle cancellerie, se prontamente corretti, non viziano necessariamente l’intero processo, specialmente quando l’atto erroneo è privo di requisiti essenziali come la firma. Sottolinea inoltre che, in tema di opere edilizie, la richiesta di ripristino dello stato dei luoghi è una domanda flessibile, che consente al giudice di adottare la misura più idonea, inclusa la demolizione parziale, senza incorrere nel vizio di ultra petizione. Infine, ribadisce che le parti non hanno un diritto incondizionato all’ammissione di ogni mezzo di prova richiesto, poiché il giudice resta il dominus del processo istruttorio.