
Da Milazzo in linea Ettore Resta. I Racconti del Pasticcino penultima puntata
di Ettore Resta
Terzo perché ero troppo in alto per raggiungerli. Avrei dovuto ridiscendere tutti i gradini e poi risalirli. Non sarebbe stato certo un divertimento, era già troppo stanca. Postami a sedere, la cupola si ritrasformò in fungo. Stetti a sbadigliare un poco, stirate le braccia verso l'alto, guardato intorno: "Buon giorno" salutai a tutto ciò che lo sguardo stava incontrando ciao, ciao ‘’ ripetei. Sentivo la necessità di una colazione.
Mi mancava il sorriso di mia mamma nel porgermi il biberon... Mi strinsi sulle spalle, tirate le briglia, attesi che il fungo partisse. Fu una illusione. Non solo non andò in volo ma non fece neanche l'accenno " Ed adesso?" mi chiesi. Alzatami, portatami accanto, gli parlai a bassa voce come si fa nelle orecchie dei cavalli. Ma non mi diede proprio ascolto. Rassegnata mi risedetti su quel finto prato ed attesi. Continuai a guardare il paesaggio intorno. Delle macchie bianche attirarono la mia attenzione. Erano delle pecorelle in compagnia di alcune caprette.
Mentre le une brucavano calme, le altre saltellavano per afferrare e mangiare le foglie tenere dei rami di ulivo. Correvano e saltavano piene di gioia. Nella foga di accaparrarsi le migliori fronde, involontariamente, una fogliolina entrò loro nel naso. Prontamente per il solletico, le caprette emanarono un fortissimo starnuto nella nostra direzione. A quel ciclone di vento il fungo, forse per paura fece un guizzo trainando tutto verso l'alto. Così iniziammo un nuovo volo. Quando credette opportuno, fatta srotolare giù la scaletta, ci fece risalire a bordo.
Volteggiammo ancora un poco fin quando non atterrammo sul cocuzzolo di un vicino colle... tutto prato ed alberi. Un piccolo spiazzo ospitava una chiesetta dall'uscio aperto. Entrammo. Il suo interno era vuoto. Niente sedie, niente accessori sacri, solo due tele dipinte ad olio penzolanti in modo sgangherato dall’alto delle bianche sporcate pareti ed un altare spoglio. Se il piazzale era piccolo, l’interno della chiesetta era vastissimo.(continua)
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" Non preoccuparti, seguici," dissero alcune lucciole. Fatto un fischio, tutte quelle che si trovavano nella cavità dei muri, dei tronchi e dei sassi, corsero all'appello. In men che non si dica, se ne raccolsero tante da produrre una luce così intensa che mi permise di raccogliere un bel paniere di more di rovo. Avrei potuto pungermi con le loro spine, ma questo non avvenne. Esse, al mio allungare le mani, si nascondevano rientrando nei flessibili rami lasciandomi spazio. Al termine rientrammo. Lungo il cammino "Come si chiamerà?" Mi chiesi "avrà un nome. Lo chiederò a lui, anzi sarò proprio io a dargliene uno". Felice di quanto deciso, trotterellando tornai al fungo. "Sssst!" Mi intimarono le due lucciole rimaste di guardia. "Si è addormentato". Lo guardai, volevo svegliarlo. "Non farlo!" " Come farò a dargli da mangiare?" Pensatoci su, decisi. Avvicinategli alle labbra uno di quei neri dolci frutti di palline, attesi la reazione. Non l'avessi fatto. Aperta la bocca, stette per addentarmi le dita. Così ad una ad una, il cesto fu quasi vuoto. Quando sentì di essere sazio, cambiata l'espressione crucciata, si girò su un fianco e continuò il sonno. "Chissà mamma come sarà contenta nel vedermi tornare a casa con un fratellino. " Mangiai anch'io alcune di quelle more, erano proprio gustose. Preferii lasciargli le altre nel caso si svegliasse con l'appetito. Quando le lucciole spensero le loro luci, il silenzio giunse con il sonno ed il tepore del fungo ci protesse dal freddo della notte. Il martinpescatore, accovacciatosi tenendo ben nascosta la testa sotto l’ala, continuò il suo russare, mentre il gufetto felicissimo, scrutando nel buio, continuò la sua caccia notturna volando da un albero all'altro. Un vocio di scalatori echeggiò per la valle. Mi svegliai. Guardato attraverso la finestra del fungoplano, notai ai piedi del grande cratere spento un nutrito numero di turisti intenti, con scarponi ai piedi e bastone, a risalire la china del monte. Il pensiero non andò a loro, ma al risveglio del fratellino. Avrebbe pianto nuovamente ed io non avrei potuto accudirlo. Dovevo trovare una mucca che mi desse un po' di latte. Girai in lungo e in largo per l'isola ma sembrava che le mucche in quei luoghi non fossero mai esistite. Eppure doveva esserci qualche soluzione.
"Beeeh!" chiamò una pecorella che stava brucando poco distante, nell'intuire il mio problema. "Grazie" le risposi. Da piccola inesperta volevo mungerla, ma non avendo un recipiente per versarvi il latte, la pregai di attendere e di non allontanarsi. Essa ubbidì rimanendo a brucare fin quando il giovanetto non fu sveglio. Accovacciatasi per terra, lasciò che il piccolo, come un agnellini, succhiasse il necessario dai suoi capezzoli. Quando il giovanotto fu sazio, sgattaiolando tornò a bordo. "Grazie ancora" le dissi ed essa per la gioia di essere stata utile, mi rispose nuovamente belando ed agitando la coda. Salutatala ancora con la mano, tirate le briglia per sprone, partimmo. Veleggiammo verso l'isola dalle due gobbe. Questa volta il vento non mi avrebbe di certo fatto alcun scherzo, in special modo per il bimbo, sarebbe rimasto terrorizzato. Davanti al laghetto della salina, erano uscite dal porticciolo numerose barche approfittato del tepore e della brezza. Vele bianche e colorate si stavano incrociando con maestosa eleganza. Tra esse, curiosa, stava avanzando una vela latina. Il suo navigare era diverso come diverse erano quelle coloratissime a palloncino gonfi di vento. Ci divertimmo a passare loro accanto lasciandole sorprese. Imboccato col fungoplano uno dei profondi canaloni, più simile a profonde cicatrici inflitte all'isola dagli alluvioni, risalimmo la china del verde alto monte .(continua)
L’Intervista del Notiziario al comandante Ettore Resta, l’artista sulle ali
Da Milazzo in linea Ettore Resta. I racconti del Pasticcino. Puntata n.12