Da Bucarest in linea Anna Patierno 'Presentato film sulla vita del direttore d'orchestra Sergio Celebidache'
di Anna Patierno
A Bucarest in presenza delle autorità rumene première del film di Sergio Celibidache dedicato alla vita di suo padre il maestro Sergio Celibidache (cittadino d’onore del Comune di Lipari).
Il titolo: La cravatta gialla (the yellow tie) allude a un episodio della vita del maestro interpretato dall’attore John Malkovitch.
4500 sono stati gli invitati…
LINK https://www.facebook.com/reel/810457695231790
di Sebastian Cosor
Sono profondamente onorato di aver fatto parte di Cravata Galbenă come produttore e co-produttore VFX — un film davvero speciale sulla vita e lo spirito di Sergiu Celibidache. La prima serata di gala di sabato sera a Bucarest è stata un'esperienza straordinaria, e stare sul palco accanto agli incredibili John Malkovich, Sean Bean, @TAG, Adela Vrinceanu Celebidachi e Serge Ioan Celebidachi è stato qualcosa che non dimenticherò mai.
Cravata Galbenă è più di un semplice film — spero davvero che diventi una svolta per la cinematografia rumena e fissi nuovi standard.
Questo progetto porta con sé un messaggio, una visione e un livello di arte che può ispirare tutti noi a puntare più in alto e a credere nel potere del cinema rumeno. Il mio augurio è che Cravata Galbenă diventi una locomotiva, portando avanti l'intera industria cinematografica rumena e aprendo nuove porte per far brillare storie future sugli schermi internazionali.
Congratulazioni speciali e immense a tutto il team di Safe Frame e agli amici per aver dato vita a questa bellissima storia con effetti visivi perfettamente realizzati: la vostra passione, il vostro talento e la vostra dedizione hanno reso tutto possibile. In nessun ordine particolare, grazie ancora: , Dragos Eugen Babeanu , Catalina Mihaela Bezo , Denis Chiriliuc , , Cosmin Sirbulescu, Olesea Chiriliuc , @Alex Boncea, Cristian Ioan Gutau , Ioan Maier, Manuela Marcovici , Razvan Scutaru , Casandra Andreica, Tuliu Oltean, Daniel Radulescu, , Calin Bulzan .
Grazie Static VFX Studio , Alin Dumitru e Liviu Dinu , il vostro aiuto e la vostra professionalità sono molto apprezzati!
E a tutti quelli del pubblico - grazie per il vostro calore e gli applausi. La tua energia ha reso la serata ancora più magica.
Mi sento molto grato di aver partecipato a un progetto così stimolante.
I’m deeply honored to have been part of Cravata Galbenă as VFX Producer and co-Producer — a truly special film about the life and spirit of Sergiu Celibidache. Saturday night’s premiere gala in Bucharest was an extraordinary experience, and standing on stage alongside the incredible John Malkovich, Sean Bean, Cristina Dobritoiu, Adela Vrinceanu Celebidachi and Serge Ioan Celebidachi was something I’ll never forget.
Cravata Galbenă is more than just a film — I truly hope it becomes a turning point for Romanian cinematography and sets new standards.
This project carries a message, a vision, and a level of artistry that can inspire us all to aim higher and believe in the power of Romanian cinema. My wish is that Cravata Galbenă becomes a locomotive — pulling forward the entire Romanian film industry and opening new doors for future stories to shine on international screens.
Special and huge congratulations to the entire Safe Frame team and friends for bringing this beautiful story to life with perfectly crafted Visual Effects — your passion, talent, and dedication made it all possible. In no particular order, thank you again: Stefan Popescu, Dragos Eugen Babeanu, Octavian Ureche, Catalina Mihaela Bezo, Denis Chiriliuc, Veaceslav Dorogan, Cosmin Sirbulescu, Olesea Chiriliuc, @Alex Boncea, Cristian Ioan Gutau, Ioan Maier, Manuela Marcovici, Razvan Scutaru, Ciprian Zoicaș, Casandra Andreica, Tuliu Oltean, Daniel Radulescu, Stefan Tomescu, Calin Bulzan, Razvan Dit.
Thank you Static VFX Studio, Alin Dumitru and Liviu Dinu, your help and professionalism is much appreciated!
And to everyone in the audience — thank you for your warmth and applause. Your energy made the evening even more magical.
Feeling very grateful to have been part of such an inspiring project.
LA STORIA
Il direttore d'orchestra che regalava case
12 dicembre 2015
di Sergio Bonina
Per molti anni, dalla fine degli anni Cinquanta al 1976, Sergiu Celibidache, maestro d’orchestra romena di fama internazionale, soggiornò ogni anno a Lipari con la famiglia.
Non lo scoraggiò nemmeno l’incendio della villa in cui perse il suo pianoforte, ma quando la polizia lo informò che in tasca di un capomafia palermitano era stato trovato un biglietto con il nome del figlio e il piano per rapirlo, il celebre musicista lasciò per sempre e di gran fretta Lipari e le sue amate Eolie. Epperò, anziché avercela con i liparesi, li amò al punto da regalare ad alcune famiglie case di sua proprietà e aiutò altre a comprarsela con i suoi soldi.
Fu molto generoso con i liparesi. Si attaccò in particolare alla famiglia Viviano, due fratelli della quale soffrivano di sclerosi multilpa. A sue spese sostenne le loro cure e li portò in Svizzera e in Francia per visite specialistiche. Nella zona di Quattrocchi, su un’altura dalla quale si dominano le Eolie, costruì sette villette ad ognuna delle quali mise il nome di un’isola dell’arcipelago. Gli è stato dato merito di aver realizzato la sua cittadella con il minimo impatto ambientale, cosa che gli è valsa, ma solo qualche anno fa, l’intestazione del belvedere chiamato “Piazzale Celibidache”. Le sette villette sono oggi chiuse e disabitate. La famiglia non ha voluto disfarsene, forse per lasciare memoria della presenza del compositore.
I liparesi lo hanno ricordato tre anni fa con un convegno per il centenario della nascita, tuttavia non lo hanno amato fino in fondo, se lo soprannominavano “‘u pacciu di Quattrocchi” per via dei suoi modi che dovevano apparire alquanto bizzarri, da pazzo, agli abitanti dell’isola, che lo vedevano scarrozzare su una Bianchina con un cappellone a larghe tese, andare in giro un po’ claudicante con i suoi due cani e avventurarsi con improntitudine in mare sul “gozzo” piuttosto male in arnese che gli avevano regalato dei pescatori.
A quel tempo dovette sembrare anche singolare l’acquisto che fece di un vasto appezzamento di terreno sul quale cominciò a edificare villette senza nessuno scopo reale. E dovette sembrare certamente eccentrico che comprasse case nell’isola per poi donarle mentre lasciava vuote le sue villette. Quattrocchi era il suo paradiso. Celibidache fu stregato dal panorama che si gode da lassù, tanto che in un’intervista del ‘64 alla Rai spiegò che riteneva il luogo il più bello del mondo per la diversità di colori che offriva tra azzurro, giallo e nero.
Naturalmente a Lipari nessuno ammette di aver avuto dal maestro una casa in regalo che lui aveva magari acquistato proprio a tal fine: la voce popolare ormai vecchia e radicata racconta un’altra storia. Emanuele Carnevale, avvocato, non sa niente di case regalate da Celibidache, però dice che è senz’altro possibile, vista la generosità del maestro, che mai si fece pagare i concerti personali tenuti nella cattedrale.
“Fu molto amico di mio padre al quale lasciò una fotografia con dedica - dice - che campeggia ancora a casa. L’ho conosciuto bene anche io quando era già in età e faticava a camminare. Non volle starsene rintanato a Quattrocchi che non considerò il suo buen retiro, ma partecipò attivamente alla vita di Lipari e delle isole vicine”.
A un cantante dilettante si prodigò in encomi tali da spingerlo a incidere un disco che faceva ascoltare ai suoi ospiti lodandone il talento. Non era granché e lui lo sapeva bene. Ma il cantante era di Lipari.
---A cura di Valentina Elia
(n. 1, gennaio 2021, anno XI)
Sergiu Celibidache, lo spirito cosmopolita di un grande musicista (parte seconda)
Con le presenti due 'lettere' (capitoli scritti in forma di lettera) tratte dal volume Sergiu, altfel (Ed. Do-minor, Iași, 2001) di Ioana Celibidache, moglie del celebre direttore d’orchestra, Sergiu Celibidache, continuiamo l’incursione nella vita del vulcanico genio romeno dell’arte della direzione sinfonica. Un artista a tuttotondo dalle mille sfaccettature, ma soprattutto una personalità dalla natura fortemente cosmopolita: direttore d’orchestra, compositore, insegnante, cittadino del mondo sempre con la valigia in mano e forte oppositore del consumismo discografico.
La scelta delle lettere non segue l’ordine cronologico presente nel libro ma punta invece a delineare a grandi linee una personalità eclettica, sottolineando il legame del maestro con l’Italia, suo Paese di adozione, in particolare con l’isola di Lipari, sua oasi, un Eden selvaggio dove si isolava dal mondo. Dopo la pubblicazione delle Lettere 4 e 5 nel numero di dicembre 2020, aggiungiamo qui la traduzione delle Lettere 17 e 28.
Lettera 17
Dovrei fare anche mia la celebre frase pronunciata da una grande attrice:
– Sono nata il giorno in cui l’ho incontrato.
Questo personaggio non poteva che appassionare, sedurre a ogni passo. Passava così facilmente dall’allegria all’incertezza, dalla tenerezza alla rabbia, dall’euforia all’angoscia. Personalità complessa, Sergiu era interessato a tutti i fenomeni e, soprattutto, a quelli più inusuali.
Non annoiarsi in una coppia, saper ridere, piangere, ascoltare il silenzio, è davvero una grande filosofia di vita. Sicuramente è stato anche questo il segreto di una vita felice.
Ci sono riuscita! Il Vulcano irrefrenabile che aveva conquistato il mondo, mi ha cambiato la vita. Ho rinunciato a tutto. Persino… alle sigarette.
Non fumava, non beveva, non aveva alcun vincolo, era un uomo libero. Pochi sanno afferrare con entrambe le mani i momenti preziosi della vita. Sergiu sapeva farlo, senza dubbio. Anche insieme abbiamo saputo farlo.
Fremevano in lui la fantasia e il dinamismo, la generosità e la bontà d’animo si coniugavano nell’onestà. Non penso siano molti quelli in grado di immaginare le difficoltà che deve affrontare un direttore d’orchestra, se non ci hanno vissuto accanto. Plasma il movimento dei suoni, dando risalto ad alcuni, lasciando gli altri più marcati e arrotondati, come fa un pittore sulla tela o uno scultore con il marmo. Trasforma il tempo in un’espressione puramente spirituale, mentre lo spartito rimane, completamente, impresso nella mente, fin nei più piccoli dettagli. Il suo influsso sull’orchestra diviene una trasfigurazione quando ottiene il risultato sperato.
– Qual è una buona orchestra, Maestro?
– È quella in cui la consapevolezza collettiva può cogliere la fine di un’azione a partire dal suo inizio; dove la ricettività incondizionata agli impulsi ricevuti modella, unificando le sensibilità e le potenzialità individuali.
Sergiu non conosceva l’impassibilità. Non conosceva né la stanchezza né la noia. Diceva ridendo: «La noia degli altri mi tiene molto occupato!».
I suoi corsi nelle diverse accademie, con studenti da ogni angolo della Terra, erano un arricchimento per chiunque. Si occupava di ogni singolo allievo, esaminando i movimenti di ognuno, la comprensione psicologica, la percezione fenomenologica, finché si arrivava alla musica. Il percorso era lungo.
– Che cos’ è la musica?
– La musica non è la concatenazione dei suoni, sono i suoni che potrebbero diventare musica!
Battute piene di allegria, severità e ironia riuscivano a creare un’atmosfera di grande convivialità. Gli studenti, fatti a pezzi dagli occhi del guru, si sentivano, allo stesso tempo, sopraffatti dall’amore dell’altruista.
Non aveva riposo. Nei giorni di vacanza mi diceva:
– Non li posso abbandonare, chi vuoi che si occupi di loro come faccio io?
Non sempre mi piaceva questo programma che violava la nostra intimità.
– Meriti l’inferno, con questo egoismo! mi minacciava ridendo. Riuscivo a farlo ridere, ad allontanare talvolta i suoi continui dispiaceri.
– Se nemmeno tu mi capisci, chi vuoi che lo faccia? Quanta tenerezza c’era in queste parole!
Avevamo scoperto Lipari, una delle isole Eolie, l’isola degli dèi greci, costantemente visitata da personaggi illustri che coccolavamo come potevamo. Gli volevamo bene.
Da un appezzamento di terreno e un mucchio di sassi, il giardino era diventato un parco magnifico.
Giorni di gioia e giorni di preoccupazione. Vedevamo o, meglio, aspettavamo con impazienza che uscisse il filo d’erba da quel misero chicco, che doveva, volente o nolente, da una buca di quattro metri, scavata da lui con il sudore della fronte a una temperatura di 40°, far spuntare l’erbetta verde, che ci crucciava non poco. Ibischi giganti, bouganville, oleandri rosa e gerani di tutte le dimensioni abbellivano il piccolo «villaggio degli artisti».
Trascorrevamo molto tempo ad annaffiare il giardino. Avevamo piantato alberi, fiori, alberi fruttiferi e talvolta approfittavamo della gentilezza degli ospiti per farci dare una mano. I tubi dell’acqua si estendevano, all’infinito, sugli scalini della «Torre di Babele», qualche volta arroccati a una cinquantina di metri vicino all’entrata principale della proprietà.
Come tutti i «cristiani» che vanno in chiesa la domenica, i vicini ci comunicavano i loro funesti presagi con il sorriso più candido:
– Qui non piove mai, il sole fa seccare tutto… Peccato, non vi crescerà nulla.
La nostra tenacia, tuttavia, non si lasciò impressionare da queste graziose previsioni.
Iniziammo col costruire una casa, poi due, tre, quattro, cinque, sei e, infine, sette, ognuna con il nome delle altre isole dell’arcipelago: Vulcano, Panarea, Stromboli, Alicudi, Filicudi, Strombolicchio e Salina. Tutte presenti all’appello. Mancava solo una cosa. Un villaggio di artisti, credenti, ha bisogno anche di una chiesa. Sergiu non ci pensò molto e, in poco tempo, costruì una chiesa meravigliosa, alta una trentina di metri, con una campana di bronzo da venti tonnellate, che fece trasportare dalla Germania. La vetrata di San Bartolo, patrono dell’isola, come anche la «Via Crucis», a olio, sulle pareti interne, sono state realizzate da me, mentre sulla parte esterna della porta della chiesa, con colori pietosi comprati nel paese limitrofo, ho riprodotto santi ortodossi, come nelle nostre chiese, senza lo stesso talento, si capisce. Nonostante ciò, la chiesa fu consacrata dal cardinale di Palermo.
Ma che importanza hanno i colori, quando Dio è vicino a noi?
In trent’anni, né il sole micidiale, né le piogge né il vento o i terremoti sono riusciti a distruggere i miei dipinti sulla porta, né a infrangere la vetrata di san Bartolo.
Come non credere nei miracoli?
Le piramidi in Egitto sono state un gioco da ragazzi in confronto alla costruzione di questa proprietà. Non ne vedevamo più la fine. L’agitazione di Sergiu raggiungeva ogni giorno livelli elevati. Le spiegazioni date agli operai il giorno prima, il giorno dopo venivano eseguite completamente al contrario. Le finestre al posto delle porte, e le porte al posto delle pareti. Un disastro.
Gli animali dell’isola si rifugiavano con grande gioia da noi. Cani, gatti, ricci, uccelli, tutti ci venivano a trovare con devozione. Sergiu aveva preso sul serio il suo ruolo di veterinario, prendendosi cura di ciascuno di loro, con grande diligenza, forse un po' empirica, ma sono sopravvissuti. Tra questi distinti inquilini, c’era anche un piccolo capretto – destinato sicuramente a qualche forno malvagio –, che salvammo dal macello. Gli davamo da mangiare con il biberon, a orari ben precisi, ovviamente – questione di disciplina.
Lo battezzammo Țipiri. Divenne il padrone di casa. Si metteva comodo a sedere sull’unica sdraio della casa, mentre noi, per non scomodarlo, ci sedevamo per terra. Il nostro sacrificio non durò, tuttavia, più di due giorni, perché altre sedie fecero la loro comparsa.
L’estate successiva, felici di vederlo cresciuto e bello, fummo avvisati dal custode a cui lo avevamo affidato con così tanto amore, che «il povero Țipiri era stato molto, molto malato». Eravamo a pezzi.
Lo rivedevamo correre come un bambino birichino per i dirupi dell’isola, arrestandosi bruscamente con i suoi freni personali proprio dinanzi a noi e guardandoci con i suoi occhi grandi e luminosi, come a dire:
– Perché state fermi lì impalati, perché non giocate con me?
Come aveva ragione. Non avevamo mai giocato con lui.
Il giardino era diventato una specie di paradiso. Tendenzialmente, le casette si avvicinavano al nostro stile romeno. Verande, colonne, archi, giuncaia, tutto tinto di calce bianca, travi di legno, drappi ricamati e tappeti dell’Oltenia alle pareti, perfino i mobili antichi rinvenuti in Spagna somigliavano ai nostri.
Sergiu aveva progettato, nei minimi dettagli, ogni angolo, mentre molti altri li realizzò lui stesso con la sega da traforo.
Pini e cipressi, piantati con difficoltà sulle rocce calve dell’isola, un panorama indescrivibile che ricordava ora il Pan di Zucchero di Rio de Jaineiro, ora il Tempio Angkor in Cambogia, hanno accolto volentieri amici desiderosi di pace e serenità. Dai monti dai grandi massi aridi, dove nemmeno le erbacce desideravano crescere, Sergiu, come dicevo, era riuscito a creare l’impossibile, come se i santi si fossero tutti riuniti per aiutarlo.
Tra gli ospiti illustri, ce n’erano di meno importanti: gattini randagi, cani abbandonati e affamati, qualche ratto che correva tra le file di gerani, alcuni serpenti solitari in cerca di compagnia o una serie di topolini che assaporavano le maglie di Sergiu, lasciandole bucate dopo il loro passaggio. Ci decidemmo, alla fine, di mettere qualche trappola, giusto per cercare di mantenere pulito il posto, ma questi ospiti indesiderati, non so per quale motivo, non ci si avvicinavano mai; sarà stato a causa del menu che non era di loro gradimento, o di qualche gatto maledetto di passaggio che li inseguiva, le trappole rimanevano vuote.
Una mattina, all’alba, passando davanti alla cucina, sentii la voce di Sergiu:
– Bene, ehi Bayezid, stupido, come sei finito in gabbia? Ti sei scorticato il naso e i baffi, che me ne faccio di te? Non ti sei accorto che il formaggio era per gli stupidi?
Sergiu, in ginocchio davanti alla vittima innocente, faceva il mea culpa, con le lacrime agli occhi. Il condannato, con gli occhi fissi sul carnefice, lo rimproverò nella lingua dei topi:
– Infame! Mascalzone!
Sono avvelenato, sto per morire,
e mentre parlo ho due zampe
informicolite,
guarda i miei denti
senza cavarmeli via!
Questa pioggia di accuse ci obbligò a prendere su la trappola e a restituire, in valli lontane, la libertà al prigioniero, con la coscienza pulita.
– Che idea, la nostra, di tormentare un povero topolino!
Lettera 28
In un’isola della Grecia, bella come nelle favole, avevamo incontrato un giovane pescatore di spugne. Queste crescono sul fondo del mare, incollate le une alle altre e sono difficili da prendere. Il pescatore, un simpaticone dalla barba folta, ci aveva raccontato le sue avventure, simili a quelle di Pinocchio.
Si guadagnava il pane con queste spugne, sicché si legava un masso intorno al collo, assicurandosi in tal modo la discesa... all’inferno.
– Uno squalo bianco mi ha azzannato e, non riuscendo a mandar giù il masso, mi ha sputato fuori e così l’ho scampata. Credo di essere rimasto qualche secondo nella gola del mostro.
Il mare come smeraldo brillava sotto i raggi del sole, che si rifletteva in uno specchio incantato. Ti invitava con una voluttà caparbia a godere dell’elisir inatteso. Il pescatore aveva avuto fortuna e, forse grazie a lui, l’avremmo avuta anche noi. Desideravamo pure noi conoscere la spiaggia seducente, deserta, non ancora contaminata dall’invasione dei turisti. Il pescatore, di cuore, ci avvertì del pericolo degli squali in quella zona, da lui battezzata «il nido dei criminali». Le sue storie ci spaventarono e, dopo essersi tolto la maglietta mostrandoci la schiena spaccata in due da una cicatrice di venti centimetri, cinta da innumerevoli morsi feroci, rinunciammo per sempre alle spiagge deserte.
In Italia, nostro Paese di adozione, i fan di Celi si moltiplicavano come funghi. Per via di un amore senza limiti, questi musicomani avevano fondato il Club Celibidache. Non tutti potevano diventarne membri, ma solo coloro che lo amavano realmente e che accettavano una serie di condizioni come si accettano i dieci comandamenti... Con il tempo, in Spagna, i membri di questo club comprarono un autobus a due piani, come quelli di Londra, per potersi recare con maggior facilità ai concerti del Maestro in Europa. I banchetti erano organizzati con settimane d’anticipo, e le risate non erano da meno. Ho riso tanto nella mia vita e questo mi ha portata ad affrontare una serie di circostanze non sempre divertenti. Per fortuna, Sergiu era molto allegro e io, grazie a ciò, non ho conosciuto mai la delusione.
La devozione degli amici lo commuoveva profondamente. Eravamo enormemente coccolati in tutti i Paesi in cui giravamo. Il piacere della tavola non poteva mancare nel programma, essendo Sergiu un gran buongustaio. Le portate erano prelibate e, tutte le volte, ci alzavamo da tavola con l’idea ipocondriaca che ci sarebbe venuto un infarto. Siamo stati esonerati tutte le volte!
Ho vissuto mille anni, «mille e una notte» e non sono stati sufficienti.
La vita accanto a un personaggio così imprevedibile, esplosivo, con uno spirito fulminante, incisivo, prodigio d’intelligenza e di sensibilità, mi ha aiutato molto nei miei tentativi di comprendere il senso della vita.
Lipari, 1960