Da Milano in linea Alan Marchesi. Il pianeta in assetto bellico: l'impatto nascosto nelle nuove economie di guerra
di Alan Marchesi*
L’espressione 'economia di guerra' non si limita più a indicare un semplice aumento della spesa militare: In un mondo globalizzato e interdipendente, le guerre moderne influenzano catene di approvvigionamento, energie, finanza, e persino l’assetto geopolitico delle materie prime. Non è più solo uno sforzo nazionale: è una trasformazione strutturale, che coinvolge alleanze, sanzioni, mercati internazionali. La guerra in Ucraina è diventata uno degli esempi più rilevanti di economia bellica nel XXI secolo. Le sue dinamiche offrono uno specchio delle tensioni globali, in cui la guerra non è solo militare, ma profondamente economica. Secondo analisti internazionali, una quota enorme del bilancio russo è oggi dedicata allo sforzo bellico. Secondo Euronews, per il 2025 circa metà del bilancio statale russo sarà assorbito dalla guerra. Questo livello di spesa pone una grande pressione fiscale sul paese e crea un enorme fabbisogno di risorse per finanziare l’apparato militare. Il conflitto ha portato a una serie di sanzioni senza precedenti contro la Russia. Parte delle riserve della banca centrale russa sono state congelate. Queste misure mirano a limitare la capacità della Russia di finanziare la guerra, ma generano anche effetti collaterali sui mercati globali, in particolare nel mercato dell’energia e delle materie prime. La guerra ha acuito la volatilità dei prezzi dell’energia e delle materie prime: petrolio, gas, metalli strategici. Per molti paesi, specialmente in Europa e nel bacino del Mediterraneo, l’aumento dei costi energetici si traduce in un pressing inflazionistico molto concreto, che pesa su famiglie e imprese.
In questo senso, l’economia di guerra non è confinata al fronte fisico, ma si riflette anche nei portafogli dei cittadini e nei bilanci aziendali. Il modello russo di “economia di guerra” inizia a mostrare i suoi limiti: alti costi di bilancio, riduzione dei proventi da fonti energetiche (a causa delle sanzioni), e un deficit che rischia di diventare strutturale. Questo scenario è insostenibile a lungo termine se non accompagnato da una capacità di ricollocamento dell’economia russa o da un sostegno esterno, il che appare sempre più difficile con le sanzioni in essere. Un paradosso emerge dall’economia di guerra russa: parte del sostegno allo sforzo bellico sembra aver attivato una sorta di “military Keynesianism”. Secondo analisi recenti, regioni “periferiche” della Russia, spesso economicamente depresse, stanno beneficiando della spesa militare centralizzata, con nuovi posti di lavoro nell’industria bellica e incentivi per i combattenti. Tuttavia, questo modello può generare dipendenza: se l’economia russa rimane fortemente vincolata alla produzione bellica, la riconversione in tempo di pace potrebbe essere complessa e dolorosa. L’economia di guerra russa non ha solo ripercussioni su Mosca: gli shock sul mercato dell’energia, sulle materie prime e sulle catene del grano colpiscono anche paesi lontani. Secondo il CNR, i paesi del Mediterraneo hanno visto un aumento dell’inflazione legato ai costi energetici. Le imprese europee, ad esempio, faticano a pianificare quando le materie prime diventano volatili o quando le forniture energetiche sono soggette a restrizioni. Un altro aspetto interessante è che la guerra stimola alcune forme di innovazione. In Ucraina, nonostante la distruzione, ci sono segnali di sviluppo nel settore IT, nella logistica, nelle startup che sono nate anche in condizioni difficili: Lo sforzo bellico ha accelerato certe competenze strategiche che potrebbero essere utili anche nella ricostruzione. Questo non significa romanticizzare la guerra, ma riconoscere che in economia bellica emergono anche nuove traiettorie produttive. Il continuo finanziamento delle operazioni militari rischia di portare a un indebitamento non sostenibile. Se la guerra dovesse protrarsi, la Russia potrebbe trovarsi di fronte a scelte difficili: aumentare le tasse, tagliare altri settori, o cercare nuovi alleati commerciali non soggetti alle sanzioni. L’economia di guerra va di pari passo con un riassetto geopolitico. Paesi come la Cina, l’India o altri stati emergenti possono giocare un ruolo chiave: alcune economie cercano petrolio russo a prezzi scontati, eludendo le sanzioni, il che crea nuove dinamiche di potere. Allo stesso tempo, l’Europa potrebbe spingere per un’autonomia strategica energetica, cercando di ridurre la dipendenza da fornitori 'inaffidabili'. Quando (e se) arriverà una pace duratura, la fase di ricostruzione sarà cruciale. Ma chi pagherà il conto? Il modello economico sostenuto dalla spesa militare non è facilmente convertibile in un’economia civile senza investimenti massicci. Le risorse internazionali – aiuti, fondi di ricostruzione, debito – saranno decisive, ma anche fortemente politiche. L’economia di guerra russa contribuisce direttamente all’instabilità dei prezzi globali (energia, materie prime, cibo). Questo può spingere molte banche centrali in tutto il mondo a politiche monetarie restrittive, con il rischio di rallentamento economico. Inoltre, l’incertezza geopolitica può spingere gli investitori a cercare 'beni rifugio' aumentando la volatilità sui mercati finanziari. Quando lo sforzo bellico diventa parte integrante dell’economia nazionale, la transizione verso la pace può essere molto più costosa e difficile. Non basta firmare un trattato di pace: serve un piano economico di riconversione. In un’economia interconnessa, la guerra di uno può essere il problema di molti. La dipendenza dalle risorse energetiche, le catene di approvvigionamento strategiche, la finanza – tutto ciò rende la guerra un tema non solo militare, ma anche profondamente economico per tutti.
In definitiva, le economie di guerra contemporanee non sono solo macchine di morte, ma macchine di distorsione economica: esse ridefiniscono risorse, potere e futuro.
*Economista, Esperto Finanziario Esclusiva per notiziarioisoleolie.it